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giovedì 16 giugno 2011

CAVALCANDO L’ONDA DELLA FOLLIA

di Paola Monaco

Nel Don Chisciotte di Mario Latella, le peripezie visionarie dell’ingegnoso Hildago sono solo un pretesto per indulgere alla volontà di rappresentare uno psicodramma, che ha ben poco di cavalleresco, nel senso stretto del termine. Il cavaliere dalla trista figura è un pazzoide svampito che si trascina nella stanza in divisa nera e ciabatte, accompagnato dal suo fedele consigliere, un Sancho Panza versione straccione, in un viaggio tra le paranoiche tortuosità della fantasia e i meandri oscuri dell’anima. Come la psiche, anche la storia procede a frammenti, seppur nella sua precaria continuità narrativa. Dulcinea, Ronzinante e il guardiano del castello sono spunti romanzeschi funzionali a una fuga dall’opprimente banalità. Sogno e realtà, follia e logica, riflessione profonda e delirio puro si alternano meccanicamente al suono di una campanella, che scandisce le dimensioni spazio-temporali ed esistenziali dei due protagonisti.

In questo stato di demenza, però, non c’è solo insensatezza strampalata. Come accade anche per l’omonimo classico di Cervantes, la pazzia è multiforme e contiene spunti di rara preziosità e autentica umanità, che bisogna sforzarsi di saper cogliere, come in un contorto rompicapo da risolvere. L’adesione dell’anima alla realtà ha più di uno scollamento. Proprio quello è lo spazio in cui la lotta con i limiti della contingenza si fa aspra e si ammanta di idealismo, procedendo ad astrum, verso le stelle.

Giochi linguistici e citazioni letterarie si succedono a bizzeffe. Di forte impatto è il contrasto tra l’uso della favella aulica, strumento di esaltazione dell’intoccabile poesia, e la volgarità più sfrenata, che culmina in un rosario di sconcezze, associate a patologie psichiatriche, cui fa seguito il totale denudamento dell’attore che, per rompere la quarta parete, decide di esporre la propria merce. Oscenità e delirio convivono con desiderio di purezza e vera libertà.

L’ironia, dalla sua forma più immediata a quella più sottile, coinvolge ogni sfera della realtà e sa diventare anche autoironia quando si disquisisce di teatro. La parola costruisce e distrugge, confonde e protegge, maschera e denuncia.

L’incantevole Inno alle donne di Alda Merini accompagna la ricerca della bella Dulcinea tra il pubblico, mentre una sfilza di tomi di grandi maestri viene meticolosamente allineata attorno a un Don Chisciotte vaneggiante, in piena crisi esistenziale. Seminare libri è vivere d’illusioni, ma anche proteggere il proprio essere dalla paura della morte, in eterno combattimento con la volontà di vivere: è regalare a un corpo senza identità un’ossatura, che possa mantenerlo in vita.

Il viaggio di Don Chisciotte, metafora dell’esistenza e del suo delirante procedere verso l’ignoto, è beffardo e commovente allo stesso tempo e, nella sua malinconica sconclusionatezza, lascia intravedere anche qualche traccia di noi.

Don Chisciotte

regia Antonio Latella drammaturgia Federico Bellini

disegno luci Giorgio Cervesi Ripa realizzazione scena Clelio Alfinito con Francesco Manetti e Stefano Lagun

Dal 4 al 12 giugno 2011, al Teatro India.

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