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venerdì 29 aprile 2011

INTERVISTA AD AJA JUNG


di Gianpaolo Marcucci



Con l’ultima edizione del Belgrade Dance festival, la ex-danzatrice e coreografa Aja Jung, fondatrice ed organizzatrice della manifestazione, si è imposta senza dubbio all’interno della stretta cerchia delle principali figure nel campo della produzione artistico-coreutica a livello mondiale. Teatri di Cartapesta ha avuto il piacere di incontrarla.






Alleghiamo intervista svolta:



[Gianpaolo Marcucci] Siamo giunti all'ottava edizione del Belgrade Dance Festival, come ideatrice e organizzatrice di tale evento sin dalla prima edizione, ritieni di aver raggiunto buoni risultati nella diffusione della cultura della danza a livello nazionale?


[Aja Jung] Quando abbiamo dato vita al Festival, a Belgrado, come in tutta la Serbia, non esisteva un pubblico legato alla danza, specialmente per ciò che concerne la danza contemporanea e allo stesso modo non c’era alcuna copertura mediatica, ne tantomeno era usanza da parte delle istituzioni e delle aziende locali investire in tale forma artistica.
L’ultima edizione del BDF ha contato 14 performances presentate, 127 giornalisti accreditati provenienti da tutto il mondo, numerosi sponsor, un’ottima copertura mediatica ed un totale di 14.500 persone tra il pubblico pagante.
Noi siamo oggi molto più che orgogliosi di questo risultato, dal momento che raggiungerlo non è stato per nulla un facile percorso. Questo Festival ha portato ad una vera e propria rivoluzione all’interno della comunità coreutica nazionale e (cosa altrettanto importante) ha finalmente smosso il vecchio concetto di danza a cui erano legati i più importanti festival già esistenti in Serbia.



[GM] Il festival è sotto l'egida del WDA/ITI-UNESCO. Quanto ti ha aiutato la tua esperienza all'interno di tale organizzazione nella difficile impresa di donare respiro internazionale alla manifestazione?


[AJ] Non sono sicura che oggi, una qualsiasi organizzazione o associazione mondiale giochi un ruolo importante nell’ambito della diffusione, dal momento in cui siamo ormai in grado di entrare autonomamente in contatto con persone sparse in tutto il mondo, comunicando via e-mail o facebook e possiamo presentare il nostro lavoro artistico tramite piattaforme gratuite come youtube. Viviamo in una nuova era della comunicazione dove gli intermediari contano sempre meno! Di sicuro però ci sono benefici importanti che tale organizzazione è in grado di portare a realtà come la nostra. Ad esempio la possibilità di creare friendship e scambi di informazioni e idee a livello globale e, ancor più importante laddove si hanno obiettivi comuni a livello internazionale, la capacità che essa riesce a dare ai suoi membri di interfacciarsi con le differenti istituzioni di importanza mondiale. Tuttavia c’è da dire che tale target non è ancora stato raggiunto, mancano ancora in tale ambito dei buoni rappresentanti che possano far sentire la nostra voce al mondo, nei posti al momento giusto.



[GM] La ricerca produce spunti sempre più interessanti all'interno del "modus coreografandi",  contemporaneo. Quanto conta per voi la sperimentazione nella produzione artistica?


[AJ] La sperimentazione è sempre importante, ovunque! Belgrado tuttavia non è ancora nella posizione di trasformare un lavoro sperimentale in un successo mondiale, ne un coreografo sconosciuto in una star.  Noi abbiamo ospitato nelle programmazioni del festival compagnie molto giovani e coreografi che sono ancora nuovi all’interno del mercato della danza ma nonostante questo, le loro produzioni erano comunque già conosciute e loro stessi erano già stati più volte protagonisti delle pagine della critica internazionale di settore.



[GM] BDF investe nei giovani artisti?


[AJ] Certo, investe molto nei giovani. Noi abbiamo tariffe speciali e moltissimi “benefits” per tutti gli studenti che affrontano discipline artistiche (arte visiva e performativa, architettura, etc.). Durante il Festival organizziamo master, corsi e workshops, con i più grandi danzatori e coreografi, rivolti agli studenti di danza e ai giovani danzatori locali, tavoli di discussione, proiezione di film e documentari, esibizioni e mostre di foto che hanno la danza come protagonista. L’edizione passata del Festival ha ospitato il primo di una lunga serie di eventi che hanno portato al raggiungimento di incredibili risultati riguardo a numero di partecipanti e di differenti attività svolte in parallelo. Abbiamo avuto anche meravigliosi laboratori organizzati da compagnie del livello di Random Dance e Goteborg Ballet come allo stesso modo abbiamo ospitato corsi di insegnanti dell’Accademia Teatro alla Scala di Milano e del Conservatorio per la danza di Parigi.



[GM] In Serbia, la danza e il teatro sono adeguatamente supportati dalla politica?


[AJ] In Serbia la maggior parte delle “istituzioni culturali” come teatri, compagnie stabili e grandi manifestazioni, sono regolarmente supportate dallo stato e dai comuni, in quanto tali istituzioni sono da questi stabilite e regolate. Stiamo parlando del complesso sistema dei finanziamenti pubblici alla cultura, all’interno del quale ci sono moltissime lobby che producono programmi poveri e scarsamente validi che costano però cifre incredibili. Queste “istituzioni culturali” sono guidate (sempre) da esponenti politici e questo gli garantisce totale tranquillità e autonomia o per esempio il privilegio di non doversi preoccupare se venderanno o non venderanno biglietti al botteghino. Dall’altro lato, ci sono però nuove organizzazioni, che propongono programmi eccellenti, hanno piccolissimi teams che lavorano alla realizzazione degli eventi e che lottano perennemente per avere un piccolo supporto. Tali realtà, come la nostra, possono contare soprattutto sull’aiuto delle ambasciate e dei centri di cultura stranieri e sugli sponsor privati, che cominciano oggi ad accorgersi dell’importanza e del valore della danza come forma d’arte.

mercoledì 27 aprile 2011

HOMO HOMINI LUPUS

di Federico Mattioni


Un corpo che cade alla ricerca di un posto. Poi la liberazione/lacerazione delle vesti.
Il corpo nudo di fronte alle immagini (guida?) della tv. Ogni gesto, ogni situazione/condizione alla ricerca di un senso, qualora e laddove ce ne fosse.
Alcune voci della coscienza si levano dal baratro dei sensi. Doversi mascherare per essere qualcosa che la società vuole, qualcosa che non gradisce il proprio Io. Una coscienza. La coscienza di mettersi a nudo senza vergogna. Nemmeno quando il corpo, come fosse meccanizzato, inizia a contorcersi in uno spettacolo dove l’uomo, l’attore, ridotto ad una specie di marionetta nelle mani del destino e dei media, entra in crisi d’identità, e sfoga la propria frustrazione di disadattato, di maladjusted del contesto, in una danza di assemblamento e contenimento delle proprie caratteristiche interiori.
La luce, le voci, i suoni, la musica e una candela a lasciare un soffio di speranza a cui prostrarsi e verso cui chiedere un aiuto e una ragione.
Bryan Ferry che tenta di emergere nei rimasugli di una Slave To Love, Elvis Presley che prepotentemente si appropria delle gambe dell’uomo per fargli indossare delle Blue Suede Shoes e stravolgergli il passo, il dolore mutante del brano Hurt dei Nine Inch Nails al momento decisivo, e un balletto a senso unico Singin’ In The Rain senza via d’uscita, nella reiterazione dei gesti e delle movenze consegnate all’uomo dalla tv della malora.
Homo Homini Lupus è uno spettacolo di teatro-danza con un solo attore al centro della scena, al centro di un folle intrigo buio, nauseante, disperante ed intrigante. Il tutto nel senso “cronenberghiano” del termine, mentre l’attore riporta alla mente, vagamente dal punto di vista fisico, la voce dei R.e.m. Michael Stipe. In questo si denota tanto sentimento acid-rock da gettare via dal disgusto situazionale.
La pioggia dei sensi è arrivata, ha lavato via il sudore dal corpo con l’ausilio del rossetto, e attende impantanandosi nella melma al passo coi nostri giorni, dove la diversità è ammessa solo se conforme ai giochi dei grandi. 


sabato 23 aprile 2011

I Santasangre in Bestiale Improvviso _ sovrapposizione di stato

di Ludovica Marinucci

Una nebbia densa avvolge la platea, tanto che occorre una guida per trovare i posti a sedere. La performance inizia già qui, nell’intento di creare una corrispondenza e correlazione tra la scena e lo spettatore, coinvolto da più input sensoriali contemporaneamente.
La prolungata penombra iniziale permette di “sentire” lo sgocciolare della lastra di ghiaccio, incatenata sopra un quadrato di ferro. Da ogni parte, anche dal basso dei corpi, sembra arrivare il rumore elettronico, al cui ritmo vengono proiettate immagini di forme evocative. Luna, sole, galassie: un mondo parallelo raggiunto tramite un circolare viaggio immaginativo.
Tramite un sapiente gioco di rifrazioni si ricreano più dimensioni spazio- temporali, scolpite in modo ipnotico dalla luce, paradosso scientifico per eccellenza. Così si colgono realtà alternative, ma coesistenti: appunto una sovrapposizione di stato. Tra cui forse non si può scegliere.
Luce e ombra sono le tende dei nostri stati d’animo, aperte e richiuse dal crescendo e diminuendo dell’energia sonora, che crea un ben orchestrato effetto di stordimento.
Tre figure si intravedono sullo sfondo. Sono ombre che invadono pian piano la scena, prima le schiene, i piedi, sfiorati dalla luce, fino all’improvvisa conquista di un movimento ritmico, scattoso, bestiale. Non sono umane nei gesti, ma materia attraversata da energia, che a tratti ubbidisce ad altre leggi di gravità. Danzano insieme eppure da sole, richiuse in se stesse, come atomi, pezzi di un universo naturale composto soltanto di moto e materia. Potente ed inquietante minaccia, che non può essere scongiurata, data l’impossibilità di sottrarre l’uomo alla sua “natura”.
Sollevata ed esposta verticalmente, la lastra di ghiaccio filtrando, rifrange addosso al pubblico le luci, come uno schermo, artefatto che nella sua funzione si decompone a vista d’occhio. 
Lo spettatore è sempre borderline tra più “stati”, dimensionale, emotivo, estetico, tecnologico.
La performance dei Santasangre, attraverso diversi linguaggi che assecondano la “natura”, riesce a creare una forma scientifica dell’arte, in cui tecnica e tecnologia hanno un ruolo di primo piano.

Nessuno meglio di questa compagnia poteva aprire il Festival Istantanee – visioni tra danza e performance, diretto da Maria Paola Zedda, che attraverso l’interazione di linguaggi diversi vuole offrire proposte artistiche che facciano ben sperare per un nuovo, alternativo “stato” dell’arte in Italia, nonostante tutto.


Ideazione  Diana Arbib, Luca Brinchi, Maria Carmela Milano, Dario Salvagnini, Pasquale Tricoci, Roberta Zanardo.
Partitura ed elaborazione del suono  Dario Salvagnini.
Progetto ed elaborazione video  Daiana Arbib, Luca Brinchi, Pasquale Tricoci.
Corpo  Teodora Castellucci, Cristina Rizzo, Roberta Zanardo.
Coreografia  in collaborazione con Cristina Rizzo.
Costumi  Maria Carmela Milano.
Organizzazione  Elena Lamberti.
Produzione  Santasangre 2011
Residenza  Kollatino Underground
Con il sostegno del MIBAC.

In scena al Kollatino Underground, via Sorel 10
Il 21, 22, 26, 27 e 30 aprile 2011.

 





“Anastasia, Genoveffa e Cenerentola” di Emma Dante


di Francesca Camponero

Il palcoscenico ha il sipario aperto già prima che inizi lo spettacolo, non c’è scenografia, sul fondo, proprio al centro, solo un tendone steso, appeso su due pali. Entrano al buio tre attrici e si sporgono verso il pubblico come a cercare di vedere chi c’è. Hanno tutte gli occhiali e non si possono certo definire di bell’aspetto. Cominciano subito a battibeccare tra di loro e a gesticolare freneticamente. Chi potrebbero essere se non Anastasia, Genoveffa e la loro madre che iniziano una loro giornata tipo. Sciatte, malvestite, comunicano tra di loro in un dialetto ricco di parole ed espressioni accese e quando arriva il proclamo da corte che annuncia che il Principe darà un ballo per scegliersi una moglie l’agitazione aumenta. Sulle note di Billy Jean di Michael Jackson le due ragazze iniziano un show esilarante in cui si divertono a cambiare abito per scegliere quello più appropriato per la serata a corte. La madre dà loro corda e le stimola ad essere sempre più avvenenti e pone fine alla parata solo quando le vede già pronte con l’abito bianco da sposa. Cenerentola naturalmente è fuori da questo gioco ed appare dopo solitaria con la scopa in mano, compagna delle sue infelici giornate. Lei non parla dialetto e non ha gestualità impulsiva, ma ama anche lei danzare e lo fa a lungo con le sue scope amiche sognando siano dei cavalieri avvenenti. In suo aiuto arriverà la Fata Smemorina, personaggio di svampita e pasticciona che si muove a scatti come una marionetta seguendo gli impulsi di una bacchetta magica che non vuole stare al suo comando. Cenerentola avrà così la possibilità di partecipare al ballo e di conoscere e far innamorare il Principe, un ragazzo inquieto, come dimostra anche la sua testa piena di riccioli scomposti, per niente felice della sua condizione che vestito da guappo canta a squarciagola “Perdere l’amore” di Massimo Ranieri. Cenerentola non lo riconosce e si apre con lui confidandogli la sua triste situazione di serva in casa senza alcuna vergogna.
Il lieto fine arriverà immancabile e vedrà ancora una volta la danza protagonista della scena, i due si lanciano in un ballo appassionato sulla musica di Libertango di Astor Piazzolla che li trova tanto belli quanto imbranati.
Una favola per grandi e piccini quest’ultima fatica di Emma Dante, che in poco più di un’ora tiene alto l’interesse e il divertimento del pubblico non tralasciando certo di dare messaggi importanti e profondi, stimolando la fantasia attraverso un gioco di apparenze ed evocazioni. Lo stile è quello suo di sempre, una performance di forte intensità e gusto che vede l’intrecciarsi fluido di parole, danza e canto, il tutto interpretato straordinariamente bene dalla sua compagnia Sud Costa Occidentale.

Teatro Archivolto (Genova)- sabato 16 aprile 2011

giovedì 21 aprile 2011

Instantanee al Kollatino!

Kollatino Underground
dal 21 aprile al 18 maggio 2011

Visioni tra danza e performance - I edizione
Direzione artistica di Maria Paola Zedda, in collaborazione con Kollatino Underground e Santasangre.

Il festival, incentrato sui linguaggi contemporanei di danza e performance presenta lavori di alcune delle compagnie più interessanti della scena nazionale e internazionale, legati alle arti visive.
Nelle serate gli spettacoli si articoleranno in un susseguirsi di istantanee, flash fotografici in cui il corpo, protagonista assoluto della scena, attraverso una drammaturgia visiva, si amplifica divenendo Immagine.
La coreografia contemporanea, infatti, mostra un profondo interesse per esperienze artistiche di natura installativa, visiva e sonora, da cui trae ispirazione, e che assorbe nel proprio linguaggio.
All’interno del festival si alterneranno sul palco opere con una struttura complessa e articolata con composizioni più brevi e folgoranti; lavori attenti al rapporto tra performance e coreografia con azioni in cui il corpo è sottoposto a condizioni chiare ed estreme.


Gli artisti che presenteranno i loro lavori sono:
Barokthegreat
Rachele Caputo
Compagnia Enzo Cosimi
Dewey Dell
Helena Hunter
Andreana Notaro/Lineatempia
Paola Lattanzi
MK
Cristina Rizzo
Santasangre
Socìetas Raffaello Sanzio
StrumentiUmani
Teatro Deluxe
Maria Paola Zedda

Durante le serate musicisti e sperimentatori della scena elettronica si esibiranno in brevi live e dj set all’interno della cornice Performing Sound, spazio dedicato alla relazione tra musica e progetti performativi.

ISTANTANEE sarà seguito dall’ osservatorio critico Sguardi Istantanei , a cura di Matteo Antonaci e Chiara Pirri. Sguardi Istantanei restituirà il racconto del Festival attraverso la web-platform, per offrire momenti di riflessione critica e porsi come piattaforma di studio teorico sulle complessità delle arti performative.
Sarà, inoltre, presente l’installazione video Deflòro di Fabrizio Zanuccoli/Azione Grado Zero.

La scelta di presentare il festival negli spazi del Kollatino Underground sottolinea l’adesione ad un progetto culturale comune in cui la sperimentazione dei linguaggi contemporanei è protagonista. È sostenuto da No Obvious Title.
ISTANTANEE esprime la volontà degli artisti indipendenti e del Kollatino underground, struttura autoorganizzata e autofinanziata, di offrire una proposta di qualità nonostante l’attacco e la crisi che la produzione culturale subisce dalla pubblica amministrazione.
Il festival è l’espressione della volontà degli artisti indipendenti di esserci e di andare oltre la differenziazione tra generi per la creazione di opere che possano fondere insieme linguaggi diversi.

Programma

OPENING > Aprile 21-22-26-27, ore 21.00 , 30 aprile alle 17.00
Santasangre in Bestiale Improvviso_sovrapposizione di stato > prima assoluta
27 aprile ore 22.30 Valentina Valentini e Mauro Petruzziello in Performing Female Voices – Laptop Set

5 maggio
BAROKTHEGREAT  in Fidippide ore 20.30 e ore 22.00
Compagnia Enzo Cosimi  in OdetteOdile investigation ore 21.00
Mirco Buonomo+Oreinoi+Franz Rosati  Liveset ore 22.30

6 maggio 
Socìetas Raffaello Sanzio/Claudia Castellucci  in Il Regno Profondo ore 20.30
Maria Paola Zedda  in Requiem_fase 2 ore 21.30
Helena Hunter  in The Other Room ore 22.00
dalle 22.30
Cristiano Luciani  Liveset
Saverio Evangelista  Liveset
Mark Peter Wright  Liveset

11 maggio
Dewy Dell  in Grave ore 21.00 > prima assoluta
Teatro Deluxe  in Feminea-White frame ore 21.30
Black Fanfare  Liveset Liveset ore 22.30

17 maggio
Compagnia Enzo Cosimi  in La stanza del Principe ore 20.30 > prima versione definitiva
Andreana Notaro/Lineatempia  in Tempia ore 21.00
Cristina Rizzo  in Invisible Piece ore 21.30
DEZ  Liveset ore 22.30

18 maggio
Compagnia Caputo Seneca  in Nottilucenti ore 20.30
MK  in Quattro danze coloniali viste da vicino ore 21.00
Paola Lattanzi/ Progetto ASKA  in OGM mon amour ore 21.30
StrumentiUmani  in Emotical Icon Show studio secondo ore 22.00
Stefano Zazzera  Liveset ore 22.30

Nelle serate di spettacolo sarà presente la videoinstallazione DeFlòro di AZIONEGRADOZERO.


KOLLATINO UNDERGROUND
Via Sorel 10 - Roma
Info e prenotazioni: 3493716769 - 3382006735
Biglietto unico: 10 euro
Info su: www.istantanee.org
facebook: istantanee performing fest

lunedì 18 aprile 2011

BELGRADE DANCE FESTIVAL 2011


Trionfo della danza contemporanea a Belgrado.

di Gianpaolo Marcucci

BELGRADO – Si è da poco conclusa l'ottava edizione del Festival di danza contemporanea della città di Belgrado "BDF - Belgrade Dance Festival", condotto dall'ex danzatrice e coreografa Aja Jung. Tra le compagnie presenti nella programmazione, spiccano lavori di livello coreografico altissimo e nomi di fama internazionale: Le Slovaks, Maguy Marin,  Wayne McGregor… uno dopo l'altro gli artisti ospitati, hanno contribuito a dar vita ad una manifestazione davvero entusiasmante che possiede ormai tutte le carte in regola per destare invidia ai grandi festival europei di settore.

L'idea di decentralizzare il concetto di festival (le serate si sono svolte ogni sera in una location differente e talvolta in una differente città) insieme all'attenta ed oculata direzione artistica e all'altissimo livello di sperimentazione e ricerca riscontrabile nei lavori proposti, oltre a far notare la notevole competenza e preparazione adottata nella selezione dei pezzi, rendono l'esperienza dello spettatore  stimolante e qualitativamente molto valida.
Non ci si stupisce infatti nel notare l'ottima risposta del pubblico. Vedere i teatri di un paese non ancora completamente fuori dalle difficoltà del suo noto passato pieni di giovani e meno giovani, curiosi ed esperti, giornalisti e semplici spettatori che ogni sera si ritrovano per assaporare fianco a fianco immagini, esperienze ed emozioni legate alla danza contemporanea, è davvero qualcosa di bello e rassicurante. Da segnalare assolutamente è la partecipazione delle istituzioni: in prima fila era sempre presente Nebojsa Bradic, Ministro della Cultura del governo Serbo, che oltre ad aver sostenuto economicamente la rassegna, ne è a tutti gli effetti il co-fondatore.

Meravigliose le locations, meravigliose le compagnie ospitate, meravigliosa l'atmosfera da vero e proprio festival internazionale, insomma il Belgrade Dance Festival è un esperienza da consigliare a tutti gli amanti del genere, per godere di una città magnifica e di un altrettanto valida occasione per assistere alle nuove frontiere della sperimentazione coreografica contemporanea.

A parere della redazione, è importante infine ricordare che tutto questo, è stato possibile grazie all'aiuto delle aziende serbe che hanno creduto nel progetto sponsorizzando la manifestazione e alla ormai nota bravura di Aja Jung che con questa edizione del BDF si impone senza dubbio all'interno della stretta cerchia delle principali figure nel campo della produzione artistico-coreutica mondiale.



La trilogia degli occhiali, parte terza


Ballarini

di Irene Corradino

Un' atmosfera di sacro romanticismo pervade la sala, luci calde quasi di colore porpora sembrano stelle che attendono un’emozione. Un uomo e una donna. Lui magro, ossuto, gracile, di un implicita eleganza quasi regale, vestito di nero con un papillon, pochi capelli e un nostalgico sorriso.  Lei bassa, dall’andatura goffa, schiena ricurva, di dirompente dolcezza, vestita di bianco con l’abito del matrimonio. Entrambi inoltrati nella terza età del tempo. Festeggiano loro stessi uniti in un'unica essenza, inseparabili nelle mutevoli stagioni dell’amore. In scena due bauli di impronta beckettiana a far da contorno all’incanto della loro unione, scatole argentate di ricordi, matriosche di antiche esperienze. L’innamorato guarda l’orologio da taschino, è giunta l’ora di festeggiare: fa scoppiare un petardo e lancia una modesta manciata di coriandoli. Si baciano. Ingenuamente. Si baciano. Timorosamente. Si baciano e… Ballano. Ballano. Ballano. Sembra che ballino per la prima volta come per l’eternità. Timidi e agguerriti i loro movimenti. Lei si aggrappa a lui, e lui si poggia a lei, fragili quasi spaventati e increduli all’idea che il loro amore sia durato una vita intera. Eppure sembrava il ballo di fine anno. Con giochi di equilibrio, per non cadere, scivolare giù nella abbandono, si coordinando nel sorreggersi amorevolmente a vicenda, come un invito a non dirsi basta. Si guardano. Si sfiorano. Si toccano. Lui si sbottona i pantaloni, si avvicina a lei, un istintivo e taciturno orgasmo. Un melodico carillon viene estratto dal baule, elogio alla danza, i cagionevoli volti scompaiono, i protagonisti ritornano ad essere giovani. Indossano nuovi occhiali, chiosatori di un cammino all’inverso nella storia vissuta insieme: amore, passione, gelosia. “Dobbiamo ballare”  si dicono. Si sussurrano nuove verità contro la monotonia.  Dall’emozionante e longevo ballo del lento che li univa per una senile interdipendenza si passa a un’eccitante swing, liberatorio, animalesco fino ad approdare al festivo e spensierato ballo dell’Alligalli .  La passione tra i due incalza sempre più, come in estasi, un brio emotivo innaffia la vita circostante: il primo appuntamento, le passeggiate sotto il balcone dell’amata, la gelosia di uno sguardo, la voglia di sposarsi, la realizzazione di un sogno, il concepimento. Creature Creatrici. Regna una folle felicità che non conosce ragion di essere se non nell’amore e per l’amore; senza l’obbedienza a dettami esterni alla propria volontà, una sola e abbagliante allegria di vivere per viversi.  Viene così spazzata via la malinconia visione di un tempo sordo e andante, con la consapevolezza che il “tutto” è nell’attimo di intesa partecipazione, che non esiste davvero un mondo se non lo si vive. Immagini e rappresentazioni scrigno del remoto e giovane passato vengono custodite nei bauli alcova della propria anima e vengono rievocati tramite oggetti simbolo.  Amore Lui,  scompare dietro l’esistenza terminata, lo fa in modo delicato, raffinato nel silenzio di chi parte per un viaggio senza ritorno. Chiuso nella cassa. Amore Lei triste, annientata e rassegnata, non più abituata all’idea della solitudine, sta appoggiata sul baule memoria, estrae una spina elettrica e stacca la presa. Ora lontani, distanti dal mondo. Dopo essersi guardati per un’intera vita con gli occhi dell’amore.

Testo e regia:  Emma Dante
Assistente alla regia: Manuela Lo Sicco
Con: Elena Borgogni e Sabino Civilleri
Luci:  Cristina Fresia
Foto e grafica:  Carmine Maringola
Produzione: Sud Costa Occidentale, teatro stabile di Napoli, ctr centro di ricerca per il teatro
Collaborazione: théatre du rond-point 

La trilogia degli occhiali, parte seconda


Il castello della Zisa

di Irene Corradino

Due suore.  Tenacemente coordinate in movimenti convulsi, sotto l’emblematica presenza/protezione di quattro croci pendenti dal soffitto, ondeggianti e rimbalzanti. L’atmosfera è macabra, inquietante, il silenzio prende voce in un assordante, indecifrabile e oscuro bisbiglio spasmodico che persiste dalla sagoma della preghiera a un’incolore litania. Le donne, simbiotiche, indossano medesimi occhiali, hanno lo stesso sguardo, sono identiche negli spostamenti, nel rapporto con lo spazio, tanto da apparire un'unica inscindibile massa uniforme, una singola entità.  In scena: giochi, birilli e palle colorate, due bambole meccaniche suonanti, masse indecifrabili coperte da lenzuoli. Un ossimoro, in apparenza, è l’accostamento del repertorio ludico e la frustrante presenza bigotta delle religiose, in un ambiente di petulante ordine, narrante un cosmico malessere. Le luci a un tratto fioche, segnano le ombre tintinnanti dei corpi volanti da un punto all’altro del palco e presagiscono una metamorfosi di senso: un disvelamento improvviso di un’incognita figura fino ad allora celata da un immacolato telo, un ragazzo inerme, degente, pregno di debolezza, portatore di uno sguardo cieco. L’attenzione della coscienza è volta tutta su di lui. Il pubblico è ipnotizzato dal suo cospetto: Le donne lo puliscono, lo pettinano, lo scuotono e lui malinconicamente immobile, nel suo pigiama colore del cielo, fissa un punto, quasi come a raccontare l’indicibile con il silenzio del dolore. La sua comunicativa immobilità crea violenti movimenti involontari dell’animo. Lui è la disperazione. Le suore cercano di stimolare la sua reattività,  ipotizzandosi circensi con giochi di birilli, sfere colorate e acrobazie con hula-hop. Provano e riprovano. In modo convulsivo con lo scopo di ottenere una sua reazione. Ma i fallimenti sono infiniti e la frustrazione aumenta sempre più fino a creare uno squarcio tangibile che porta al litigo, una scissione di quell’atomo-donne, che adesso divengono tante, si dimenano, si spingono, si schiaffeggiano, urlano e a tratti si disperano. Come a dire che il dolore crea dolore. E null’altro più. La tensione emotiva diventa una agglomerato di crisi e possibilità, l’unica certezza sul palco, la simbiosi dei loro occhiali si distrugge, le lenti cadono, si aprono nuovi mondi. Il ragazzo timidamente abbozza dei movimenti, delle fiacche e quasi impercettibili controrivoluzioni del corpo, viene rotto il guscio della verità: il suo nome è Nicola, cerca ostinatamente la zia. Durante l’infanzia viveva con lei nel quartiere popolare della Zisa, risiedeva di fronte ad un castello, lo guardava e sognava di distruggere i mostri, di cacciare i diavoli  e salvare la principessa, ne era il guardiano, era il prode paladino del bene. Ma un giorno venne scacciato dal suo impero, fino a restare imprigionato per sempre nel delirio del suo mancato essere guerriero. Senza parte e senza gloria, privato di tutto tranne che dei suoi desideri, cade per un tempo indecifrabile in un apparente oblio, un mutismo assordante, giudice delle urla dei suoi perché; poi cade a terra, con tormento, si torce, si contorce, si colpisce, si dimena, si avvelena di rimpianto. Gli occhiali sfilano via a terra e una nuova visione della presenza del passato, appare.  Nicola affronta il peso di un tempo perduto fatto di spensieratezza che mai ritornerà se non nella pace del ricordo.  Decide così di imbattersi senza più rancore in  un epoca interiore che porti il nome del passato e del divenire, della nostalgia per ciò che è stato e della speranza che una favola diventi realtà. Ora ha degli occhi nuovi per sognare un nuovo castello, da cui non sarà mai scacciato, se stesso.

Testo e regia: Emma Dante
Con: Claudia Benassi, Stéphanie Taillandier, Onofrio Zummo
Luci: Cristina Fresia
Foto e grafica: Carmine Maringola
Produzione: Sud Costa Occidentale, teatro stabile di Napoli, crt centro di ricerca per il teatro
Collaborazione: théatre du rond-point

La trilogia degli occhiali, parte prima

Acquasanta

di Irene Corradino

In scena,  un uomo incatenato a corde che dall’alto lo dirigono come un burattino, all’estremità di esse tre eliche, manubri di passioni e tristi viltà. Il suo mondo a prua di una nave tanto immaginaria nella tangibilità, quanto reale nella necessità della memoria, nell’esperienza di lunghi anni forgiati all’insegna di un amore ossessivo per il mare.

Il personaggio è inquieto, delirante, sommerso dalla schizofrenia,  immenso nella passione.  L’immagine del marinaio di fronte ai nostri occhi, bussa alle porte della coscienza, con la voce della psicosi, con l’emozione suscitata dall’altalenante scambio di personalità: mezzo mozzo e capitano. La percezione del dolore dell’ uomo in scena è pregnante di verismo, è possibile sentirne le dinamiche interiori, quelle proprie dell’emarginazione.

Lenti vengono indossate e poi riposte come mezzi per ottenere mondi diversi, per entrare nell’altro e poi uscirne,  per schivare lo sfinimento dell’incomprensione.  Sono lenti “intelligenti” “sopraumane”  dotate di un potere intellettivo tale da riempire lo spazio circostante di radici quadrate, queste le parole citate dal protagonista, pronunciate in un dialetto quasi incomprensibile, espressioni singhiozzate tra il sentirsi un eroe ed essere un emarginato. Si sentono le voci della ciurma, del capitano, lo chiamano “O Spicchiato”, a causa delle sue grosse lenti che fanno riflesso. Lo deridono, lo maltrattano, lo violentano. Lo abbandonano su terra ferma. Lui che non ha mai preso licenza, che è senza casa, senza amici, senza divertimenti. Lui e il suo unico amore per il mare, tanto da dire che la terra è un illusione e che il mondo va via quando la nave parte.  Lui imperterrito fa poesia della sua angoscia, pronuncia con schiuma e bava alla bocca del lavoratore sfruttato, che disgusta i  borghesi,  il calore del sacrificio, che fa onore a scrittori e poeti,  immagini oniriche che diventano vive, che ad ascoltarle con ragione, sembrano irreali, che nel sentirle empaticamente , diventano l’unica verità possibile: “… tentacoli  colorati del polipo arlecchino, meduse gigantesche che si intrecciano nei raggi del sole, il pesce palla che dentro di sé porta il passato da un lato, e il futuro dall’altro, il Cristo di Rio che si tuffa a petto aperto nel mare e un iceberg che si scioglie in lacrime di cristallo nell’abisso… “ Su di sé , il ticchettio  di stelle che segnano lo scandire del tempo,  ma non invecchia la sua Passione, quando sta in prua, con lo sguardo verso il divenire, fino a dichiarare che il vero amore, come il mare, è impalpabile ed egli è fidanzato con l’infinito. Il mare è sacro, gli schizzi delle onde che violenti gli si prostrano al viso, gli conferiscono  tenacia nel superare le avversità,  perché l’acqua è benedetta,  perché è vita,  corpo del mare e dell’universo,  è Acquasanta.  Adesso però , l’eroe è solo, su terraferma e intravede la distanza dalla sua eterna navigazione, l’abbandono della nave,  è invivibile, un peso insormontabile e  realizzando l’avvenimento della fine,  impazzisce, sente,  adesso più che mai,  che la realtà lo deride, si fa beffa di lui, folle amante sognatore e così senza più lacrime e cuore continua a dondolare nel ricordo nella  memoria del proprio amore.

La performance di Carmine Maringola,“O Spicchiato”,  è magistrale, l’incisività della mimica e l’intensità delle parole,  fanno da padrone,  la versatilità del linguaggio è fluida nell’ incarnare personaggi opposti dell’animo, e le sue capacità camaleontiche varcano il sogno e la realtà. Fa clamore la spontaneità dell’interpretazione tanto da credere, tornando a casa, che “O spicchiato”, lo si è conosciuto davvero.

Testo e regia: Emma Dante
Con:  Carmine Maringola
Luci:  Cristina Fresia
Foto: Giuseppe Distefano
Produzione: Sud Costa Occidentale, teatro stabile di Napoli, ctr centro di ricerca per il teatro
Collaborazione: théatre du rond-point