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mercoledì 28 aprile 2010

DIES IRAE. 5 EPISODI INTORNO ALLA FINE DELLA SPECIE

di Gianpaolo Marcucci
Dies irae1 Non bisogna stupirsi se quando si chiede ad un pubblico di scegliere cosa vedere, chieda quasi sempre di danzare. Il movimento da l’illusione dell’esistenza del tempo. Un orologio domina la scena. 21:44 – 60:00. I numeri hanno la presunzione di sancire la posizione dell’uomo. Cosa sarebbe successo se Hitler fosse stato assassinato nella culla? Da lontano una canzone sussurra una smielata preghiera, mentre, senza trasporto, viene consumata la tortura di una donna inerme le cui grida arrivano alla nostra pelle. Aspetta, è solo una simulazione, una messa in scena. Il sangue è fittizio e il luogo, asettico; ricorda quasi le orwelliane celle che precedevano la stanza 101. “Abbiamo dato un nome alle cose per poterle ricordare quando mancano”; con razionale fretta ottimizzatrice, si cerca di fotografare, nominandoli, tutti i possibili lati di un’umanità che sta per scomparire, dalla carnale essenzialità di un corpo, alla dolcezza effimera di un abbraccio. Lo zero è arrivato. Nel buio si esaurisce la vecchiaia di tutte le epoche; forse per dare l’idea che il tempo, già stanco, si nasconda dietro ad una rumorosa pioggia di polvere. Comunicazione di servizio: Per chi volesse acquistarle, le 7 meraviglie del mondo, sono in vendita ad un’asta al ribasso.
La proposta scenica che la compagnia “teatro sotterraneo” porta in luce, emoziona e fa riflettere. Dal punto di vista tecnico “Dies Irae. 5 episodi intorno alla fine della specie” risulta essere uno spettacolo davvero meritevole. Luci e scene sono essenziali ma molto efficaci. Gli attori sono validi (preparati anche dal punto di vista del movimento) e la direzione, pur nella volontà d’esser originale, è attenta e curata. L’ironia è utilizzata in giusta misura, lo spettacolo diverte, ma tiene sempre in se una visibile vena di profondità. Viene molto apprezzato l’uso di un meta-teatro che si trasforma in interattività. Giunge spontaneo chiedersi cosa sarebbe successo se qualcuno dei “chiamati” dall’elenco telefonico avesse risposto all’appello! Interessante infine la scelta di utilizzare una sola canzone (Halleluya di Jeff Bacley), una sorta di leit motiv spirituale, come “soundtrack dei 5 episodi”. Il giudizio è positivo; ci auguriamo che questa giovane compagnia continui a produrre lavori degni di un teatro di ricerca che con respiro, guardi sempre più, al di fuori dei polverosi confini nazionali.
Abbiamo incontrato Daniele Villa e i ragazzi di Teatro sotterraneo. A seguire alleghiamo l’intervista:

GIANPAOLO MARCUCCI/ Dies Irae è una riflessione sul tempo, e sull'uomo. Da dove siete partiti per questo progetto, e dove siete arrivati?
DANIELE VILLA/ Non a caso il sottotitolo è 5 episodi intorno alla fine della specie: esattamente un lavoro sull’uomo e il tempo, sull’uomo nel tempo e sull’azione del tempo su l’uomo. Siamo partiti dalla paura ancestrale dell’estinzione, della scomparsa come specie, ma non in termini catastrofici, non come interrogazione del momento apocalittico in cui tutto muore, non c’interessava un disaster movie teatrale, abbiamo piuttosto cercato un modo per osservare l’assenza dell’uomo e costruire un pensiero postumo. In questo l’archeologia, e in particolare il metodo stratigrafico che dissotterra e classifica per livelli di sedimentazione, ha rappresentato un’idea di struttura. Gli episodi corrispondo a livelli stratigrafici, sedimentazioni geologiche, e alla fine è come se avessimo un sito archeologico composto da reperti databili. Il rovesciamento di prospettiva, e quindi lo spostamento di senso, sta nel fatto che invece di procedere per scavi Dies irae procede per sepolture, quasi come un rito funebre. Chiaramente qui dovrebbe avvenire un ulteriore rovesciamento: seppellire l’immaginario, l’oggetto, le visioni dell’oggi è un modo per cantare il nostro tempo e quindi scavare in esso e nella coscienza che ne abbiamo. Ogni episodio lavora sulla traccia: dal primo che si compone per tracce ematiche fino al quinto che deposita sale su macerie. La traccia è ciò lasci.

GM/ E' per accentuare il senso di estemporaneità che avete scelto di usare così tanto l'interazione col pubblico? Che significato le avete dato?
DV/ L’estemporaneità per noi non è un fine ma un mezzo. Abbiamo già coinvolto il pubblico in altri lavori ma non con l’intento di acquisire imprevedibilità, piuttosto partecipazione diretta. In Dies irae il significato dell’interazione col pubblico ruota attorno all’esercizio della cittadinanza, quindi al senso di responsabilità e alla possibilità di scegliere. Se stiamo archiviando porzioni del presente (operazione inevitabilmente arbitraria e parziale) è chiaro che stiamo anche riflettendo sui soggetti, oltre che sulle cose. Per questo c’è un testimone che scandisce gli episodi, per questo l’ultima testimonianza viene richiesta a uno spettatore, che potrà riportare l’accaduto oppure mentire e falsificarlo o addirittura non ricordare nulla. Per questo si può scegliere se intervenire o no più o meno in tutti gli episodi, fa parte della costruzione dell’archeologia del presente su cui opera Dies irae, volevamo includere il cittadino e la sua presa di posizione.

GM/ Cosa pensate del teatro di ricerca dei nostri giorni? Avete degli autori contemporanei di riferimento?
DV/ Difficile, pensare il teatro di ricerca dei nostri giorni. Già in Italia la complessità è enorme. Se poi allarghiamo il discorso ad un livello anche solo europeo rischiamo la vertigine. Quello che possiamo dire è che sentiamo di far parte di un fenomeno di vitalità, che la crisi è l’habitat naturale del teatro e non da oggi, così proprio oggi il teatro riesce a esprimere nuovi talenti, energie e linguaggi. La geografia del nuovo teatro italiano è diversificata e copre tutta la penisola, la proposta poetica è articolata e quasi impossibile da categorizzare. Qualcosa accade. Ma il fenomeno è in corso, per cui potrebbe anche esaurirsi senza divenire strutturale, è troppo presto per immaginarne l’evoluzione. Quanto agli autori il discorso è ampiamente extrateatrale. Chiaramente c’è una prospettiva da cui sentiamo di provenire e chiaramente ci siamo affacciati al teatro osservando le esperienze di Teatri ’90 e le drammaturgie contemporanee, ma la maggior parte dei nostri strumenti e dei nostri consumi culturali vanno rintracciati fuori dalle sale teatrali: arti visive, design e illustrazione, cinema, letteratura, e anche porzioni di popular culture legate a fumetto, televisione e videogame. Di solito usiamo il termine avant-pop: i nostri autori di riferimento sono attivi in ambiti molteplici e contraddittori, noi cerchiamo di muoverci ed esprimerci lungo un confine.

GM/ Come vi siete trovati con il teatro Palladium e Roma-Europa che vi hanno ospitati quì a Roma?
DV/ Il Palladium e Roma-Europa per noi hanno sempre rappresentato un interlocutore di primissimo livello. Uno di quei luoghi in cui speri di arrivare quando sei agli inizi. Chiaramente guardi a un luogo come il Palladium per il prestigio e la qualità dell’offerta culturale, ma quando ci entri sperimenti anche la professionalità e capacità delle persone che ci lavorano e che ti permettono ti fare al meglio il tuo dovere. Roma è centrale per molti aspetti, nel teatro come in altri ambiti. Presentarsi qui all’interno del contesto del Palladium e del progetto Fies Factory One rappresenta una condizione ottimale.
GM/ In un momento di difficoltà per la cultura italiana che non incentiva quanto dovrebbe il lavoro in ambito teatrale, come riuscite a portare avanti il vostro lavoro?
DV/ Lavorando, portiamo avanti il nostro lavoro. Noi non possiamo lamentarci, una parte della critica ci identifica e ci segue, le istituzioni della Toscana ci sostengono e nel paese troviamo interlocutori che riconoscono qualità al nostro progetto, su tutte le Centrale Fies di Dro e il progetto Fies Factory One che ci sostiene da tre anni, ma anche il teatro Metastasio Stabile della Toscana che ha co-prodotto il nostro ultimo lavoro L’origine delle specie _ da Charles Darwin, seconda parte del Dittico sulla specie avviato con Dies irae. Detto questo rimane che l’attività di Teatro Sotterraneo non è fatta solo di repliche. Curiamo progetti specifici e produzioni di diverso formato (dal site-specific performativo alla mise en espace), teniamo laboratori che si concludono con dimostrazioni di lavoro, abbiamo 4 produzioni in repertorio e siamo una struttura indipendente, autonomi anche da un punto di vista organizzativo e amministrativo. Gli stessi che curano una produzione e vanno in scena si occupano di logistica, tecnica, comunicazione ecc. Direi che andiamo avanti semplicemente dando tutto.

Teatro Sotterraneo
in scena: Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ceccarelli, Claudio Cirri
scrittura: Daniele Villa
disegno luci: Roberto Cafaggini
costumi: Lydia Sonderegger
scene: Loris Giancola


Dall’articolo di MPNEWS di Gianpaolo Marcucci