TDC E' UN portale CHE vuole dare voce ad un nuovo modo di fare critica. Una critica che non attacca, una critica che respira, che si riconosce in ciò che vede. Consapevolezza, introspezione ed umiltà sono le parole che descrivono tale lavoro di ricerca. Perché fare critica non sia più scrivere solo di teatro, ma divenga finalmente scrivere per il teatro

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martedì 31 maggio 2011

LE MATTINE DIECI ALLE QUATTRO

di Federica Gualtieri

Cira, William e Stefan si ritrovano puntuali tutte le mattine 10 minuti alle 4 sotto la pensilina dell’autobus che li porterà al lavoro. Attesa, quella del mezzo di trasporto, che è occasione per raccontarsi, rifarsi amici, in un certo senso ridiventare noi amici loro.

Sì, perché chi lavora in nero non è solo un caso anonimo di morti bianche, come le fredde pagine di cronaca nera ce li fa passare. Si tratta innanzitutto persone. Persone che subiscono una realtà di cui non sono, forse non siamo, padroni. Gli unici padroni sono i più forti, i capi, i potenti.

Questo spettacolo ci ricorda che sono pur sempre anime che sognano e che cercano di “tirare a campare” nel modo più onesto possibile (o forse concesso?) nel mondo disonesto, approfittatore, avido e nero della realtà di oggi.

La sensibilità di Luca de Bei e la bravura degli attori Federica Bern, Riccardo Bocci, e Alessandro Casula riescono a mostrare bene uno spaccato di vita moderna romana e di quartiere di periferia. Racconti suburbani, ma pur sempre al centro della vita di tutti.

Si ride fragorosamente in quanto la messa in scena inizia e si sviluppa come commedia leggera la cui comicità è accentuata da battute e aneddoti recitati in pieno romanaccio “de vera e propria borgata”.

Si sta seduti in platea assistendo a ciò che succede di fronte ai nostri occhi di pubblico, ma si sta anche seduti sotto la pensilina della fermata dell’autobus, aspettandone con loro, e tra loro, l’arrivo, mentre si ci immedesima pian piano in tutte le loro confessioni e ammissioni. E nello stesso tempo in tutto questo fragore di un’ottima sceneggiatura, non ci si dimentica mai la tragicità di chi è meno fortunato.

Ci si attenderebbe che fosse un’opera da cartellone. Fisso. In qualunque luogo esistano una fermata dell’auto, una pensilina, un’ alba, una borgata; dei racconti reali e metropolitani; degli esseri umani. Ogni città che ne è popolata meriterebbe un teatro che ospita spettacoli di tale valore artistico, contenutistico e registico.

Non stupisce che lo spettacolo Le mattine dieci alle quattro, oltre ad aver vinto il Premio Golden Graal per la regia 2010, è stato anche finalista al premio”Enrico Maria Salerno per la drammaturgia” 2007. E due anni più tardi è stato finalista al Premio Riccione per il teatro. Sempre nel 2010, la casa editrice Titivillus ha pubblicato il libro dal titolo omonimo.

Dal 10 al 29 maggio

Teatro della Cometa, via del Teatro Marcello, 4

dal martedì al venerdì ore 21.00. Il sabato doppi spettacoli ore 17.00 e ore 21.00.

Le mattine dieci alle quattro

Presentato dal Teatro della Cometa s.r.l. e Artisti Riuniti e patrocinato dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico.

Scritto e diretto da Luca de Bei

con Federica Bern, Riccardo Bocci e Alessandro Casula

Collaboratore alla regia Alessandra Paoletti

Assistente alla regia Sandra Conti

Scene Francesco Ghisu

Costumi Sandra Cardini

Luci Alessandro Carletti

Suono Marco Schiavoni

lunedì 30 maggio 2011

VA, PENSIERO ...

di Costanza d’ Ardia

Qualche goccia di pioggia può trasformarsi rapidamente in una bufera, cosi per prudenza ci trasferiamo da piazza Benedetto Brin al Teatro Palladium dove, con grande stupore, ci troviamo travolti da una tempesta musicale provocata dal genio artistico di Dario Giovannini, compositore, pianista, organista, fisarmonicista e fondatore di Aidoru Associazione e del gruppo musicale Aidoru.

Il concerto è senza dubbio innovativo ed interessante, quasi quanto l'artista da cui trae spunto. L'Hendrix, che fece vibrare i cuori di Woodstock con la sua versione elettrica dell'inno americano, ritorna in scena sul finale, liberando gli artisti dai vincoli imposti dall'orchestra in un vorticoso assolo, e tutte le nazioni, con le loro bandiere, sono mescolate sulle note di “ANTHEMS FOR ROME” in un unico inno universale.

Il pubblico italiano, nel suo 150° compleanno, riceve in questo breve spazio artistico il compito importantissimo di rappresentare i popoli di tutto il mondo. Più di cinquanta solisti (tra chitarristi e bassisti) danno vita ad un progetto di ricerca, che suona come il flusso armonioso di un bolero moderno, e Dario Giovannini ci porta con le sue bandiere in un viaggio intorno al mondo, un po’ insolito, dove la sperimentazione della musica si fonda con i nostri ideali. Nell’ anno del 150° anniversario dell’Unità d’ Italia questa provocazione musicale ci riporta inevitabilmente al pensiero di uomini coraggiosi ed artisti straordinari, che sulle note della libertà, riuscirono ad oltrepassare quei confini, che invece la parola (proprio come oggi) difficilmente era in grado di varcare.

La musica di Dario Giovannini sembra accordare i suoi artisti in un omaggio a tutti coloro che hanno combattuto e combattono ancora oggi con le armi del proprio talento per difendere gli ideali democratici e favorire una vera e autentica collaborazione tra le nazioni, ricordandoci con il suo concerto, che siamo tutti spettatori nella stessa platea.

Soli contro tutti/ Anthems for Rome

Di e con Dario Giovannini

Con un’orchestra elettrica di chitarristi e bassisti

Produzione Airudo Associazione e Santarcangelo 40 Festival Internazionale del Teatro in Piazza

22 maggio, h 19.30 – Teatro Palladium, Roma

sabato 28 maggio 2011

L’AMBIGUO VOLTO DEL MALE

di Paola Monaco

La tensione, nel dramma “Extremities” di William Mastrosimone, in scena al teatro India dal 3 all’8 maggio, è palpabile sin dal primo istante, e rimane sospesa, per attimi infiniti, in un cupo silenzio impregnato di agonia, in attesa di una tragedia che già si intuisce e si vorrebbe bloccare trattenendo il respiro. L’iniziale inquietudine dello spettatore contrasta con la lentezza dei gesti di vita quotidiana di una ragazza come tante, Marjorie, che trasformerà, a breve, la sua sonnolenta apatia in panico rabbioso, in un crescendo di emozioni, sempre più primitive e incontrollabili. La porta si apre, entra Raul e il tempo ricomincia a fluire: inizia una tragedia che ha ben poco di classico: è una tragedia contemporanea, difficilmente inquadrabile in schemi precostituiti, come lo è il Male che, nella sua deforme ambiguità, riesce ad essere dolcemente sussurrato durante una violenza carnale. Esso è mostruoso eppur banale, perché nella sua sfaccettata sfrontatezza, accomuna il genere umano e lo confonde al tempo stesso. Si può davvero parlare di dualismo morale? Quando la vendetta prende il sopravvento, chi è la vittima e chi il carnefice? Chi è il giudice e chi l’imputato? A che giovano l’analisi sociologica, la psicologia, la ragione, la saggia esperienza dei nostri simili quando la violenza arriva, come un lutto improvviso, a sovvertire tutti i nostri parametri interiori e i sistemi di valori consolidati nel tempo, fino ad un momento prima dormienti nel nostro inconscio? Dov’è l’estraneo, fuori o dentro di noi? La follia della violenza rappresentata non si consuma in un atto brutale e immediato: è lenta tortura, fisica e psicologica, è la confusione della mente incarnata nel fastidioso brusio di un insetto impazzito, che cerca la sua strada nel buio. Tutto è ambiguo: il “porco” chiama in causa l’avvocato, addirittura il confessore, e arriva a ringraziare il suo carnefice per la gentilezza inconsapevole di un gesto. “Chi sia davvero il porco qua dentro non mi è del tutto chiaro”, tuona una Patricia fuori di sé. Tutti sono ostaggi dei propri traumi, tutti sono ostaggi della rabbia di Marjorie e della prigione di giudizi e pregiudizi che sta prendendo forma attorno a lei. Ma l’umanità non è sorda al grido d’aiuto di chi è terrorizzato dal silenzio, principale rivelatore della propria miseria, e interviene a sublimare la meravigliosa bellezza di una donna che, seppur lacerata, di questa brutalità non vuole essere schiava. William Mastrosimone non si limita a rappresentare quel grido di reminiscenza espressionista che soccombe a tutti gli orrori del mondo, ma chiama lo spettatore a un ruolo attivo, risvegliando una serie di problematiche che imbrigliano i nostri tempi: dalla storia di donne violate nel segreto delle proprie case fino a quella degli stupri etnici. Di grande spessore psicologico e fine introspezione, Extremities, come un pungiglione, ci scomoda e ci spinge a reagire, con un realismo che funziona e conquista.

EXTREMITIES

di William Mastrosimone

traduzione e regia Bruno Armando

Scene Mario Fontanini

costumi Marzia Paparini

luci Luca Bronzo

con Alessandro Averone, Federica Bognetti, Laura Cleri, Paola De Crescenzo

In scena al Teatro India dal 3 all’8 maggio 2011

venerdì 27 maggio 2011

LA NUOVA SAGRA TRADIZIONALE

di Ludovica Marinucci

Una miscela esplosiva ha fatto la sua comparsa nel laboratorio teatrale della rassegna in corso Teatri di Vetro. Si tratta dello spettacolo Sagra del quartetto Progetto Brockenhaus, il cui motore propulsivo sono le musiche della Sagra della primavera di Igor Stravinsky e le memorie autobiografiche della messa in scena del balletto da parte di Vaclav Nijinsky.

Queste ultime prendono forma nelle parole del regista visionario, che già da dietro le quinte ci invita a seguirlo nel mondo caotico che inevitabilmente precede ogni creazione. La luce che illumina la sua sedia ci avverte su chi focalizzare l’attenzione: da quel pulpito si genera tutto ciò che lo spettatore vedrà comparire sulla scena. Voltato come un impassibile direttore d’orchestra, il regista guarda due eleganti scimpanzé, che si muovono al ritmo uno dei grugniti reciproci, si annusano, si imitano, essendo causa uno dei movimenti dell’altro. Cercano una coordinazione, una connessione reciproca, proprio come le idee, che ad un certo punto della loro progressione caotica diventano autonome, hanno vita propria, rispetto all’autore. Nell’impossibilità di fermarle da parte il regista se ne va, lasciandoci in balia di un vero e proprio caos danzante. Sono i nostri frammenti interiori a venire fuori, al tempo dei ritmi ossessivi di una musica carica di tensione che ancora oggi mostra tutte le sue potenzialità generative.

Esterrefatti gli scimpanzé guardano le movenze una donna impellicciata, che invasata dalla musica, come dal personaggio, chiede dove sia il regista che le dica cosa fare. Viene accontentata da un suo ironico rientro sulla scena sui passi di un danzatore classico impedito, che confessa tutta la paura di non riuscire più a creare. Forse ci vuole un megafono per dirlo.

In una danza corale e primitiva, si bacia il pavimento, la terra, da cui veniamo e a cui dobbiamo tornare. Si cerca di mettere in fila le idee, ma una si ribella, tirando calci. Le idee, si sa, fanno cose strane: si nascondono; entrano in scena anche quando non è il momento; si inchiodano a vicenda. Mentre una culla dolcemente il regista, le altre si combattono fino alla morte. O è solo una trasformazione? Quelle frutto dell’inconscio sono tinte di rosso, si spogliano, si vestono da donna. È un continuo e corale turbinio, che alterna sogno e realtà, tradizione ed innovazione, come quando per un attimo sospese, all’improvviso esaurite cadono a terra. Buio. Silenzio.

Lo spettacolo è coinvolgente, ironico ed innovativo. Condividendo con lo spettatore le memorie del coreografo russo, il quartetto dei Brockenhaus riesce a rendere attuale in modo non banale i moti interiori dell’atto della creazione, attraverso l’uso esperto di immagini evocative, di un gesto danzato consapevole seppure giocoso, di una musica d’eccezione.

Proponendolo, Teatri di Vetro si conferma anche quest’anno per l’elevato livello della rassegna.

Sagra – Progetto Brockenhaus

Ideazione di Elisabetta di Terlizzi e Francesco Manenti

Interpreti Elisabetta Terlizzi, Francesco Manenti, Emanuel Rosenberg, Cecilia Ventriglia Creato in collaborazione con Elisa Canessa, Federico Dimitri, Piera Gianotti disegno luci Marco Oliani

21 maggio 2011, h 20.30 - Teatro Palladium