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martedì 4 ottobre 2011

VA IN SCENA IL TRITTICO DI BACON


di Paola Monaco

Tre studi per una crocifissione è una pièce teatrale sulla passione di Cristo rivissuta nell’esistenza di tre diversi individui, seppur profondamente simili nella loro moderna agonia. Naufraghi in un mare di dolore, sono tutti interpretati in maniera magistrale da Danio Manfredini. Come nell’opera pittorica di Francis Bacon, gli elementi distinti del trittico si ricompongono in una scena unica: il male di vivere.
Giudicati, perseguitati, incompresi, vittima dell’ignoranza bieca del loro prossimo, inchiodati ai margini della società e, infine, costretti a portare la loro croce nella più devastante solitudine, i protagonisti sono un Golgota vivente, l’emblema del disagio contemporaneo, esasperato sulla scena per svelarne senza ambiguità i suoi tratti più subdoli.
In manicomio, gironzola un uomo senza futuro: berretto di lana e camicia a quadri, se ne va declamando i versi della Divina Commedia, personalmente rivisitati. Per me si va per una selva oscura, e nel cuore si rinnova la paura. Tra un endecasillabo e l’altro, tira fuori strofe che fanno rima col pessimismo. La sua singolare percezione della realtà lo porta a rielaborare concetti e fatti in modo insolito e divertente, direi anche intelligente. Una fuga nel misterioso universo della follia per esorcizzare l’angoscia.
Il detto banale siamo nati per soffrire sembra essere, in questo posto, il Vangelo del giorno. Di tutti i giorni. Sprazzi di lucidità si alternano a deliri persecutori e ossessivi, che prendono le sembianze dei suoi professori di scuola. L’autorità continua a perseguitarlo anche in istituto. Qui picchiano come ossessi. Solo Irma è buona. Picchia anche lei, ma lo fa col cuore. Non manca l’ironia nelle battute del pover’uomo, un sarcasmo straripante di amarezza e di cinismo, al punto che, in alcuni passaggi, non si sa se ridere o rattristarsi. Nel suo sciolto monologo, una sorta di libero flusso mentale alla Joyce, il protagonista inserisce, con nonchalance, affermazioni che fanno gelare il sangue: suicidi con acido muriatico, incidenti, depressioni, incubi. Il pubblico assiste a una sorta di dissociazione tra pensiero e parola, che lo confonde e lo proietta in una dimensione assurda e insensata. Ma cos’è più incoerente: la follia o la realtà, così imbevuta di odio e di egoismo? Stessi patimenti toccano a una donna alcolizzata che, cambiato sesso per amore di un rozzo macellaio, non conosce altro destino che prostituirsi, ormai dimentica di tutto ciò che è riferibile all’amore; o allo straniero che, abbandonato dalla madre in tenera età, in un giorno di pioggia, cerca disperatamente qualcuno con cui parlare.
Nelle loro frasi, anche le più banali, riecheggia il grido di Cristo sulla croce: «Eloì, eloì, lamà sabactàni?», dettato da uno straziante senso di abbandono nel momento del dolore, che è maturo, distante anni luce dall’autocommiserazione.
Mai nessun risentimento, infatti, traspare verso chi li ha offesi o verso un Cielo che li ha privati della gioia. Si percepisce, anzi, un commovente senso di gratitudine per ciò che rimane: Se il mio tormento è muto, un Dio mi ha reso capace di dire quanto soffro.
Tanta delicatezza nel cogliere le più velate sfumature dell’animo umano è degna di un abile pittore, di uno spirito sensibile, in grado di andare oltre l’obiettiva rappresentazione della realtà. In questo, va il nostro plauso all’autore.

Tre studi per una crocifissione
di e con Danio Manfredini
luci: Lucia Manghi
collaborazione al progetto: Andrea Mazza, Luisella Del Mar, Lucia Manghi, Vincenzo Del Prete

23 settembre 2011, h 21 – Teatro Quirino di Roma

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