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sabato 1 ottobre 2011

KAIRÒS, SISIFI E ZOMBI, quando il teatro diventa esperienza


di Fanny Cerri

La compagnia L’Alakran arriva dalla Svizzera. La sua compagine è intimamente multiculturale, plurilinguistica. Approdato in Italia nel 2010, alla Cavallerizza di Torino, e riproposto nel 2011 nell’ambito dello Short Theatre, a Roma, lo spettacolo che ci regala è delicatamente, ma radicalmente destrutturante.
Poco meno di due ore, più facili da vivere, che da raccontare: Kairòs, sisifi e zombi trasferisce sulla scena, con semplicità disarmante (e studiatissima) l’ineffabilità stessa della vita, la discontinuità del reale, la sua frammentazione, il suo svilupparsi sincronicamente su infiniti piani interpretativi.
Il primo attore Oskar Gómez Mata, che firma anche la regia e la drammaturgia dello spettacolo, si presenta al pubblico nella sua quotidiana umanità, in mutande, tenendo per mano una vecchia e piccolissima madre. Non ha potuto lasciarla sola: le permetterà quindi di assistere dall’interno a uno spettacolo/vita di cui ogni figlio/attore potrebbe legittimamente vergognarsi. Muta, apparentemente persa dietro un sorriso inconsapevole, camuffata da una bionda parrucca, vezzo struggente di passata femminilità e giovinezza, la madre incarna un Super-Io ormai sbiadito, addolcito da una serena demenza o, forse, saggiamente rassegnato all’imperfezione della vita. Non sarà mai abbandonata alla solitudine: sarà invece sollecitata, stimolata, dolcemente accompagnata dagli attori a far parte del flusso degli eventi, mentre semplicemente aspetta o prepara i fagiolini per la cena.
Insieme a lei, il pubblico osserva, ascolta, sorride, riflette, camuffato dalle proprie (invisibili) parrucche. Con lei, è portato per mano a confrontarsi benevolmente con la nudità, gli escrementi, le meschinerie dell’animo, l’attaccamento al denaro e il suo assurdo impiego, le incertezze, gli stereotipi, l’amore, la difficoltà di capire un mondo, che si manifesta sotto forma di una fisica spesso incomprensibile, ma fascinosa.
Con la giocosità sofisticata del terzo teatro, la riflessione sull’esistenza abbraccia la filosofia greca antica (Sisifo e Kairòs), la mistica orientale, le nuove concezioni della fisica del Novecento.
Afferrare per i capelli il kairòs, il momento opportuno per agire, richiede consapevolezza. Bisogna sapersi svuotare, lasciare spazio all’estraneo e all’imprevisto, accettare che infinite possibilità, forse non meno allettanti, vadano a perdersi. L’uomo è limitato nelle proprie percezioni e spesso non sa, non può, rendersene conto. Come la lumaca, che percepisce la luce ogni tre secondi e resta all’oscuro di tutto ciò che, in quei tre secondi, è accaduto. Un’allusione formidabile alla fisica quantistica e all’impossibilità di percepire oggettivamente una realtà, intimamente influenzata dallo strumento stesso di percezione.
L’essere umano è testimone parziale e poco consapevole degli eventi. Come uno zombi, si aggira per il mondo senza radicamento, prigioniero del giudizio altrui, aspettando una morte definitiva. Preferisce ricorrere a espedienti fraudolenti, come Sisifo, che si illude di ingannare gli dei dell’Ade e finisce a sospingere in eterno un’immensa roccia sferica su un pendio scosceso.
La sfera è una presenza ricorrente: vince la gravità, esplode, rimbalza, colpisce. Si fa simbolo del mondo fisico, strumento della tecnologia, allusione finale a un chiaro di luna. Ricorda agli astanti il potere del caso, infilandosi statisticamente in un secchio. E’ la particella elementare e, allo stesso tempo, il rimando a uno spazio-tempo curvo, che rivoluziona la concezione classica dell’universo.
Il pubblico nel frattempo si scopre confuso, incapace di dare un giudizio solido e immediato rispetto a ciò che vede. Si arrende, si perde, accede dolcemente a un linguaggio nuovo, si stupisce di non riuscire più a sorridere, considerando con tristezza e imbarazzo la gravità di una situazione politica che gli sfugge di mano. Si riconosce nei due personaggi maschili, seminudi, scissi alla cintola, che si ostinano a scambiare parole inutili, con voce straniata, apicale, mentre desiderano pazzamente la libertà del gioco infantile, genitale, impudico.
Lo spettatore si sente integrato nella vita in scena, rispecchiandosi, in un continuo gioco di rimandi, in ciascuno degli attori: insieme alla vecchia madre, sul finale, si prepara al commiato; insieme al figlio, esita invano, non si decide darle un bacio prima che muoia. Resta intrappolato nel non-luogo struggente che separa la vitalità dell’azione e l’incapacità di scegliere, fra le infinite possibilità del reale. E comprende nel profondo, sperimentandola, l’importanza del kairòs: il momento opportuno per agire.

Kairòs, sisifi e zombi
Compagnia  L’Alakran
regia e concezione  Oskar Gómez Mata
con la collaborazione di  Esperanza López
drammaturgia  Peru C. Sabán, Oskar Gómez Mata
assistente regia  Delphine Rosay
con  Maria Danalet, Oskar Gómez Mata, Michèle Gurtner, Esperanza López, Olga Onrubia, Valerio Scamuffa
scene  Chine Curchod, Régis Golay, Oskar Gómez Mata
direzione tecnica  Philippe Maeder
creazione sonore  Serge Amacker
disegno luce  Michel Faure
regia luci  Loïc Rivoala

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