venerdì 21 ottobre 2011
IL GIOCO DEL CASTELLO
di Paola Monaco
L’agrimensore K.,
brillantemente impersonato da Ivan
Franek, con il suo seducente accento ceco, si guarda intorno sperduto,
proprio come lo spettatore, nel tentativo di familiarizzare con l’ambiente in
cui si trova catapultato dopo un lungo viaggio. La sensazione che condivide con
il pubblico è quella di sentirsi la pedina di un disegno ancora tutto da
svelare, di un percorso ignoto e incomprensibile, che somiglia più a un
avventuroso rompicapo che a un piano razionale e sistematico.
Tutta l’azione
ruota attorno al Castello, la cui collina è avvolta
da nebbia e oscurità, a significare il mistero che lo caratterizza. Cartone e legno grezzo, materiali che
compongono buona parte degli ambienti dello spettacolo, sono fantasiosamente modellabili
e favoriscono l’interazione attiva con lo spazio fisico, che è anche simbolico
e, pertanto, mutevole. Il frequente cambiamento di postazione, questa lenta transumanza degli attori e del pubblico ubbidiente,
è espressione della dimensione psicologica dell’uomo, che è alla ricerca continua
di sé, della sua definizione. Kafka stesso vive come pellegrino inquieto sulla
terra, come intruso in un mondo inospitale: un immondo scarafaggio. Il disorientamento del nostro protagonista,
che fa esperienza di una situazione paradossale in cui è impossibile il possibile, esprime ciò che la vita è per tutti
noi: un oceano che travolge, lasciando un margine minimo alla ragione, che
tutto vorrebbe capire e inquadrare in precisi paradigmi. Niente è definito:
ambienti e persone, per volere di una burocrazia spersonalizzante, sono ridotti
al nulla (non a caso l’uso della sigla K.), al punto da diventare addirittura
interscambiabili (Artur e Jeremias, Sortini e Sordini).
Ma K., combattivo e
ostinato, non si lascia scoraggiare dall’evidente avversità degli abitanti del
villaggio: s’impone, escogita soluzioni, difende i suoi diritti e affetti, si
adatta ai continui cambiamenti di programma, finanche a diventare bidello.
L’ostacolo burocratico è sia specchio di una realtà spesso inutilmente
complessa sia il pretesto per generare azione all’interno di un intricato labirinto.
Sembra di assistere a una sorta di videogame,
un gioco interattivo, che mantiene
però alcuni caratteri demodé: i
sentimenti d’amore, la ricerca di calore umano e di una realizzazione
professionale, la nostalgia di una casa o di sane relazioni interpersonali.
Il Castello,
invece, pullula di funzionari oziosi che rendono impossibile ogni tipo di comunicazione.
Così K. ha l’impressione di perdersi in
un mondo estraneo dove c’è da soffocare d’estraneità, ma in cui non si poteva
far altro che inoltrarsi ancora. E’ il ritratto della nostra società, tanto
ricca di falsi contatti quanto imbevuta di infinita solitudine. Benvenuti nel
mondo globale, dove l’individuo scompare nella massa.
In questa
riflessione esistenziale Giorgio
Barberio Corsetti inserisce installazioni d’avanguardia e felici colpi di
genio, dando al suo lavoro il consueto tocco di unicità. Immagini proiettate sul
muro, telecamere, sms inviati al pubblico da Fattore K, apparecchi telefonici
che vivono di vita propria, fuoco che divampa dal nulla, fogli che volano dalle
finestre dell’edificio come giganteschi coriandoli di non-senso: sono solo
alcune delle ingegnose intuizioni del regista. Inventiva, dramma e divertimento
si amalgamano nella rappresentazione con impressionante facilità. Complemento
dell’opera è il sito www.ilcastellodikafka.it che, assieme a
www.gamekafka.com, stuzzica ulteriormente la curiosità dei partecipanti.
Ma, per saperne di
più, godetevi l’intervista di Gianpaolo Marcucci a Giorgio Barberio Corsetti.
Sul nostro sito, ovviamente.
Il Castello
Progetto di Giorgio Barberio Corsetti e Fattore K
Liberamente ispirato all’omonimo testo di Kafka
Adattamento e regia di Giorgio Barberio Corsetti
Con Ivan Franek, Mary Di Tommaso, Julien Lambert, Fortunato
Leccese,
Fabrizio Lombardo, Alessandro Riceci, Patrizia Romeo
Dal 21 settembre
al 2 ottobre 2011, Teatro India di Roma
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