martedì 25 ottobre 2011
TUTTI GLI UOMINI SI INNAMORANO DI GILDA, MA SI SVEGLIANO LA MATTINA DOPO CON RITA.
di Francesca
Zompetta
Il fascino non si crea dal nulla. Il fascino non si ferma
nemmeno davanti al glamour.
L’incanto retrò in
bianco e nero viene portato in scena. La toletta dove spazzolare i lunghi
capelli rossi o bere whisky, il separé ricco di colori e tessuti sfavillanti,
il telefono con il filo arricciato, di quelli dove squillano voci felpate, e un pianista che ci accompagna
dall’entrata in sala provocano un pizzico di nostalgia noir anni ’40, quel che
basta a farci chiudere gli occhi e catapultarci indietro nel tempo, in quella
famosa sera del 1946.
Tutto ebbe inizio
in un piccolo paese dove lo schermo del cinema di Mario di solito proiettava
pellicole per il puro piacere dei giovanotti locali, in cerca di belle
forestiere.
Questa volta era
diverso. Era stata addirittura scomodata
la voce di Francesco Pannofino per annunciarla. Questa volta il cinema di Mario
non portava in scena il solito spettacolo, ma dava forma alla futura icona
della femme fatale, Gilda.
Eccola lì, la bomba atomica del ‘46: una prorompente
rossa, fasciata dal famoso tubino nero di Jean Louis, con coda e spacco, calca
le scene riproponendo un Put the blame on
Mame, con tanto di guanto sfilato e “ascelle depilatissime”, così magnetico che non può non affascinare ed essere imitato in futuro.
A partire da
questo momento, il pubblico comincia a vivere un intenso tête-à-tête con Grazia
Schiavo, che interpreterà tante donne durante lo spettacolo. Lei stessa
confessa di non essere all’altezza di imitare un’icona della moda e del cinema
come Rita Hayworth ed è proprio questo il nodo centrale dell’intenso monologo.
Rita Hayworth,
prima di tutto, non era all’altezza di se stessa, o meglio della sua immagine,
essendosi sottoposta ad innumerevoli e dolorosi interventi chirurgici, già
allora, tanto da ritrovarsi con una palpebra scesa, camuffata perennemente da
ciglia finte. In secondo luogo l’attrice non si sentiva degna di un personaggio
come Gilda, così ingombrante per una donna vulnerabile e bisognosa d’amore come
lei. Ed infine, sentiva di non poter più
corrispondere nemmeno al suo ruolo di attrice (Hollywood non aveva più bisogno
di lei), di moglie (ben 5 matrimoni alle spalle) e di donna, tanto che,
sentendosi ripudiata, passerà gli ultimi anni della sua vita a bere, perdendo
non solo la sua bellezza, ma anche le sue funzioni mentali a causa del morbo di
Alzheimer.
La
straordinaria Grazia Schiavo regala ai suoi spettatori scene di esilarante
comicità, con concessioni al dialetto e ai doppi sensi, proponendo frammenti di
deliri estratti dal “Gilda” come “…ti amo tanto che un giorno ne morirò,
Johnny”, accompagnati da baci e schiaffi continui e rivelazioni biografiche
così scabrose o sconosciute da destare stupore. Ma fa anche di più: interagisce
con il pubblico in modo da non creare preferenze tra quello maschile e quello
femminile.
Eh sì, perché
spiazza un po’ le donne quando si siede sulle ginocchia degli uomini, e nel
tentativo di sedurli, desta sghignazzi ed una sorta di bonaria invidia. Ma si
riprende immediatamente, instaurando con loro una sorta di tacita complicità ed
inneggiando alla solidarietà femminile. Così desiderata dagli uomini, dunque,
ma anche così vicina a tutte le donne che, proprio come lei, sanno bene cos’ è
il dolore fisico scaturito dal mal d’amore e che, pian piano, vedono, quasi con
sollievo, sgretolarsi sotto i loro occhi un mito così lontano dal quotidiano
reale. E’ una Rita imperfetta, a
cominciare dal vestito stretto e appositamente mal cucito da una sarta scappata
col pompiere, e sfiancata da una dieta che la mette a stecchetto. Essa mette a nudo tutte le sue fragilità, un vuoto
d’affetto che tenta di colmare con la disperata richiesta di conferme ed
approvazione dal pubblico. E’ una femme
fatale, ma nemmeno poi così convinta, una mamma, una donna che ama
profondamente, ma non è corrisposta, una signora delirante tra le mura della
sua casa, ma quasi disumanamente ineccepibile dietro lo schermo.
Una carrellata di
splendidi vestiti vintage,
provenienti direttamente dalla bisca di lusso di Ballin e non solo, sfila
estemporaneamente su un palco sempre vivo e pregno di storia ed emozioni.
Chissà quanto deve aver amato, odiato, cucito addosso a sé questo personaggio,
la straordinaria Grazia Schiavo, che infine si rivolge anche al pubblico più
giovane, lasciandolo riflettere a bocca aperta su un interrogativo amletico: La femme fatale, oggi, chi è? Esiste ancora?
Ai posteri l’ardua sentenza. Dunque il famoso dualismo vittima o carnefice
rimane irrisolto.
Gilda
Con Grazia Schiavo
Testo
e regia di Mario Moretti
Collaborazione
alla regia di Patrizia
Schiavo
Aiuto
regia Priscilla Micol Marino
Musiche
dal vivo Francesco Marino
Luci
e tecnica Simona Parigini, Sergei Yanchev
Elementi
scenografici Battiti di cuore
Voce
fuori campo Francesco Pannofino
Martedì 11 ottobre 2011
ore 21:15, Teatro
dell’Orologio di Roma
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