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mercoledì 2 dicembre 2009

“LEGGE E ORDINE” AL TEATRO INDIA

MPNews

E’ evidente che quando un Cristo maldestro esce quatto dall’armadio della propria stanza da letto, non ci si può aspettare una notte tranquilla. La scena che Raquel Silva, attrice e drammaturga portoghese appartenente all’entourage di Giorgio Barberio Corsetti, propone in Legge e Ordine, sua ultima creazione, è infatti ghermita di ambigui e surreali spicchi di realtà. Due entità, distanti ma cucite fra loro, dilatano lo spazio di una scena anonima, quasi volutamente mediocre, saggiandone sapientemente le superfici. Lo spazio è parte di essi e loro proiezione. Il dramma che li muove è quello delle relazioni umane. Un lui e una lei, che volteggiano nella scena raccontando e raccontandosi, alla ricerca della domanda giusta che possa condurli all’illusione di una falsa risposta. Ma la risposta non arriva mai, perché non è voluta, e i due nel relazionarsi l’un l’altra, pare non possano riconoscersi e riescano, a malapena, a toccarsi come storpi.[1] Non è l’altro che può venir in aiuto quando il male è nel dubbio di se stessi. Per quanto si dimentichino le cicatrici, quando ci si strappano lentamente le cuciture da dosso, sino a trovarsi lontani da un intero che prima era metà, non si può prescindere dal dolore della carne macerata che ancora sanguina, seppur pacatamente. Il distacco, anche se primordiale, anche se inavverato, è motore primo del vuoto, elemento cardine della riflessione di Raquel. Per quanto paradossale possa essere una simile definizione, l’impressione può essere quella descritta nella frase esser solo in un mare di soli. Ma non ci sono massimi sistemi, e sguardi al cielo (a parte nel parlar con Dio, ma Dio esce dall’armadio…), c’è invece un immersione nella mente, nel pensiero, e in un’ironica angoscia del “chi siamo” o nella presa di coscienza del “cazzo, tocca a noi”. Legge e ordine è un viaggio nell’identità, o meglio nelle possibili identità. L’identità di uomo, e di donna, l’identità di ruolo o l’identità di una agognata e deludente vita filo-borghese. La normalità fa paura perché è normale. Giunti a metà della propria vita, forse si sperava in qualcosa di diverso, in una routine meno egemonica. A fornire libertà assoluta di volare con e nella mente, è però la tangibile atmosfera onirica, che rende possibile qualsiasi cosa. I personaggi sono in grado di passare da un pensiero a un altro, da una storia all’altra, senza preavvisi, perché l’inconscio non da preavviso. I ruoli si intersecano, le facce si modificano, i corpi si plasmano; nel gioco delle parti, l’uno diviene l’incarnazione delle difficoltà dell’altro. Abbiamo così un poliziotto ballerino, una paranoica, un giudice irremovibile seduto su un armadio e un ladro/matador messo a lottare nudo su un filo per il suo equilibrio. La legge e l’ordine restano nella forma, nell’abito, perché nella vita dei personaggi tutto vi è fuori che l’ordine, e l’unica legge che governa il mondo, è quella del tempo, che inesorabile scorre senza accennare ripensamenti. Nel trambusto della scena, coppie cangianti si susseguono in un divenire di amori e distacchi e l’orologio sembra poter essere ingannato, o distratto, così da riuscire a fare almeno un tentativo, uno solo, di reinventarsi, all’infinito, purché non si termini con il corpo appeso a un filo e la mente imprigionata in uno specchio.

Teatro India

Dal 27 ottobre al 1 novembre 2009

“Legge e Ordine”

Produzione: Fattore k

regia e drammaturgia: Raquel Silva

con: Julien Lambert e Raquel Silva

Gianpaolo Marcucci


[1] Parole della poetessa Sylvia Plath

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