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mercoledì 2 dicembre 2009

AMLETO RINASCE AL TEATRO DELL’OROLOGIO

corrierediroma.it

AMLETO RINASCE AL TEATRO DELL’OROLOGIO

Al teatro dell’orologio va in scena “Being Hamlet – La Genesi”, surreale e psichedelica reinterpretazione dell’Amleto proposta dai giovani registi Leonardo Ferrari Carissimi e Fabio Morgan.

A seguito del debutto in Germania, avvenuto nel novembre 2008, del lavoro “Being Hamlet”, i due direttori artistici della sala Orfeo del Teatro dell’Orologio di Roma, decidono di portare il loro originale spettacolo anche sul noto palco di via dei filippini. All’interno del vasto e spinoso panorama del teatro di ricerca contemporaneo, Leonardo Ferrari Carissimi e Fabio Morgan, propongono un interessante e consigliato azzardo esegetico di quella che resta sicuramente una delle più grandi e più abusate opere del teatro elisabettiano. Amleto, che compare come alter ego di Adamo, raffigura nel testo la natura dell’uomo, una natura spensierata e allo stesso tempo profondamente inquietante. L’inevitabile istinto verso la consapevole autodistruzione, che spinge il primo uomo della Terra a cogliere il frutto proibito, è paragonata ora all’istinto dello spettatore, che conscio del terrificante intreccio dell’opera shakespeariana, la cerca senza freni, e ne è affascinato. Being Hamlet è uno spettacolo urlato, uno spettacolo assordante, che si è tolto da dosso la disillusione borghese e mostra ora la sua carne viva. Nulla di irreale viene raffigurato nell’opera; il sentimento di vendetta di Amleto, il quale è oramai spogliato di ogni sua maschera e reso razionalmente asettico, viene tradotto con l’estrema brutalità delle zone più remote e perverse della psiche umana. Perverse, ma non sinistre, orribili, ma familiari. Cosa spinge l’uomo a cadere nella decadenza? Forse la decadenza stessa? Il contatto con l’inconscio destabilizza, e porta a rifugiarsi nella totale e spaventosa irrazionalità di un gesto. Ofelia è l’assenza di comunicabilità che si raggiunge in questo stadio. La follia spaventa perché risiede in ognuno di noi, e il confine leggero lo traccia un velo bianco, una tela trasparente, dove viene proiettato l’orrore della gestazione amletica, e attraverso il quale s’intravvede il teatro, il palcoscenico, raffigurato come un ovattato Eden sintetico. La forma dialogica è surrogata, alle domande dei personaggi, poste con voce distorta e priva d’intonazione, Amleto risponde sottoforma di stringa sullo schermo. L’atmosfera è surreale. Vi è un uso smodato della video-proiezione, che sovrasta totalmente la scena e struttura l’intero spettacolo scandendo i minuti, che lo spettatore conta col cuore in gola. Non c’è niente da fare, l’opera disturba, è una critica, un affronto, un invito a fuggire dalla sala, a fuggire dai lati più scuri della propria mente. Ma se anche si può fuggire da un teatro, non si può di certo fuggire da se stessi, e si finisce così per riammalarsi, per ritornare ad Amleto e a quell’amletite dalla quale Being Hamlet prova a guarire.

Alleghiamo l’intervista fatta a Leonardo Ferrari Carissimi e Fabio Morgan:

- Nello spettacolo è preponderante l'uso della video-proiezione. Che significato ha la vostra scelta?

Abbiamo scelto di utilizzare le immagine un po’ per farla finita con le immagini o, in qualche maniera, con le immagini che imperversano la scena contemporanea. Sia io che Fabio siamo due grandi appassionati di cinema: passiamo intere nottate a divorare opere dei più svariati cineasti, ma questo ha veramente poco a che fare con Being Hamlet. Il punto è che per quanto ci riguarda, per quanto riguarda la poetica del nostro CKteatro, l'utilizzo della proiezione luminosa non è altro che uno svilimento strutturale della performatività della vita. A teatro si paga il biglietto per sentire l'aria scossa dai movimenti scenici, dalle vibrazioni vocali, non per illudersi dell'eterno ritorno dell'uguale. Mi spiego: il teatro è morto per mano del Teatro con la T maiuscola che utilizza sistemi comunicativi del primo novecento. La risposta delle giovani leve a questa inattualità comunicativa è l'utilizzo delle immagini, pensate come un nuovo modello comunicativamente più efficace, ma la medicina così somministrata al teatro non è curativa bensì distruttiva. Il ragionamento in questo modo non funziona: è come se volessi risollevare la pittura astratta con il baseball! I videomaker del nuovo teatro, a mio modesto parere, danno il colpo di grazia all'arte morente per sua stessa mano. Ora, se poi mi chiedi di rispondere alla domanda: il teatro è morto? Io ti rispondo a gran voce: assolutamente no! Ci siamo noi! Un teatro della forma pura più comprensibile di quello di narrazione per il semplice fatto che parla con forme di comunicazione primordiali e non verbali.

- Potreste dare una definizione dell’ "amletite" di cui soffre il vostro personaggio? L'amletite è quella malattia decadente che fa credere alla gente che amleto tratti temi realmente attuali quando l'unica cosa veramente attuale che lo riguarda è la giubba: a Tokio ci vanno matti!

- Che messaggio volete far passare con questo spettacolo?

Quello della vitalità affermativa, del superamento dei vecchi modelli di decadenza e della sacra e caotica consegna al mondo della vita, del presente, del sì.

“Being Hamlet – La Genesi

Scritto da: Andrea Carvelli

Con: Anna Favella, Fabio Morgan e L.Ferrari Carissimi

Ufficio Stampa: Laura Mancini Flora

Gianpaolo Marcucci

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