giovedì 29 settembre 2011
SUSSIDIO DI DISOCCUPAZIONE PER GLI ARTISTI: due chiacchiere con Tony, lavoratore dello spettacolo, nonché attivista del Valle Occupato.
di Federica
Gualtieri
Il 17 settembre ha
avuto luogo al Teatro Valle Occupato
un’ Assemblea Pubblica riguardo la circolare 105 dell’Inps riguardo i sussidi
di disoccupazione degli artisti. Abbiamo cercato di vederci più da vicino,
scambiando due chiacchiere con uno degli attivisti per avere maggiori dettagli.
Passate da
un’assemblea e l’altra. L’assemblea di oggi su cosa verteva?
Innanzitutto è
stata un’assemblea pubblica sulla disoccupazione visto che c’è stata una
lettera della Corte di Cassazione che afferma definitivamente che gli artisti e
chi lavora nel’ambiente artistico non ha diritto alla disoccupazione.
Risaliamo a tempi
del 35 sotto il fascismo …
Si trattava di un Decreto Regio, neanche un decreto legge, che è ancora in
vigore nonostante le condizioni lavorative e lo scenario politico-sociale siano
cambiate totalmente. Il decreto Regio è nato in una società in cui ancora non
c’erano le Compagnie né i Teatri Stabili né gli Enti Lirici. Esistevano delle
Compagnie che avevano un sistema che oggi non c’è più.
In cosa consisteva
il decreto Regio?
In realtà noi non venivamo descritti nel decreto, perché vi rientravano quelle categorie che non erano
artisti: coloro, cioè, che non avevano la preparazione culturale, tecnico - artistica
né pratica, idonea a tale professione. Questo inneggiava a quella che è poi la
piaga di oggi della situazione odierna culturale: l’impreparazione. In sintesi,
se sei un artista professionista, non hai diritto alla disoccupazione.
Come mai, dunque,
adesso si parla tanto di abolire il sussidio se non è stato mai dato?
In realtà
funzionava così: veniva dato a discrezione di alcuni dirigenti ed impiegati e
di alcune sedi dell’INPS. Vedendo che ci versavano i contributi INPS, per cui
dovevamo aver diritto alla disoccupazione, e non guardando che lavoro facevamo,
ci davano tale sussidio. Quindi capitava che ad alcuni veniva dato, ad altri
no. Dipendeva da come interpretavano il decreto Reggio e da come interpretavano
la nostra domanda di disoccupazione. Il discrimine era basato solo sul fatto di
essere artista.
Potresti spiegarmi
meglio?
Se loro
consideravano solo il fatto di avere lavorato 78 ore contributive in un anno e
il fatto di aver presentato nei tempi la domanda, allora ci andava bene. Se, al
contrario, consideravano il fatto che lavorassi nello spettacolo, di fronte a
tale domanda, l’impiegato o il dirigente potevano rifiutarsi di darla.
Ovviamente quando parlo di disoccupazione parlo di requisiti ridotti: non è che
un artista ha diritto alla disoccupazione intesa come succede per la perdita
del lavoro: noi finiamo di lavorare perché ci finisce il contratto e lavoriamo
in modo intermittente. Di fatto
siamo comunque lavoratori dipendenti.
Con tanto di
contributi versati …
Infatti. Allora
uno dei punti chiave della faccenda è: se non ci vogliono dare più la
disoccupazione, almeno ci ridessero quei contributi versati e mai goduti,
oltretutto considerando che un giorno la nostra pensione sarà veramente
ridicola.
Che ruolo ha
l’Empals in tutto ciò?
L’Empals in tutto
questo tace e sta in conflitto con l’Inps. Quando prendevamo la disoccupazione
a requisiti ridotti la prendevamo dall’Inps, nonostante l’Empals, che tra i due
è l’Ente che prende molto di più, continuasse e continua ad accumulare soltanto
e senza reinvestire per noi.
Che cosa è che
fatto scoppiare poi la bomba per cui la Cassazione si è scomodata tanto?
Un collega a cui
non fu data la disoccupazione, ha fatto ricorso e glielo hanno rifiutato. Lui
non si è fermato ed è andato avanti fino ad arrivare in Cassazione. A quel
punto, quest’ultima, ha mandato una lettera, prima, alle sedi INPS, ricordando che, secondo il
decreto Reggio del 1935, questa categoria non ha diritto ai requisiti di
disoccupazione; poi, il 5 agosto c’è stata la lettera ufficiale della
Cassazione in cui si dichiarava che non avremmo mai avuto diritto a tale
sussidio.
Ad oggi, dunque,
la vostra richiesta sarebbe di ottenere cosa?
Innanzitutto
abrogare quella legge del 35 ed essere equiparati ai lavoratori dipendenti,
perché questo siamo. Poi, chiediamo una normativa speciale per noi: non esiste
nessuna legge che regoli lo spettacolo dal vivo. Questa è la battaglia più grande, quella del
welfare: la precarietà fa parte ed è insita proprio nella natura del nostro
lavoro e, in virtù e maggior ragione di questo, chiediamo un reddito garantito
per i tempi di non lavoro. Con la
recente lettera della Cassazione, inoltre, ci avviciniamo sempre più ad un tipo
di lavoro autonomo, e non abbiamo più diritto alla maternità e alla malattia.
Per assurdo, però, continuiamo a lavorare da dipendenti anche se intermittenti.
In Francia i lavoratori hanno un sussidio mensile anche per i tempi di non
lavoro. Negli altri paesi, chi meno lavora ha più diritto alla disoccupazione.
In Italia è il contrario: te ne riconoscono il diritto a seconda di quanto
lavori.
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