domenica 18 settembre 2011
ASSASSINATION, SVALUTATION! LA MORTE E’ UNA COSA SERIA
di Cristina
Carrisi
Venerdì 9
settembre è stata una di quelle serate teatrali che ci parlano della
condivisione/coesione che talvolta lo spettacolo dal vivo riesce a creare fra i
presenti; il nuovo lavoro di Daniele
Timpano al Teatro India per Short
Theatre sa parlare, nel suo linguaggio scenico schizoide, della forza eversiva che può sollevarsi in una comunità
a partire dal chiuso delle pareti di un teatro. Ma questo è da esperire in
sala, non si può raccontare.
In scena solo un attore trasformista, che è di
volta in volta conferenziere, figlio, brigatista, imitatore, mimo, confidente, showman (e show-woman): tutte queste cose messe insieme.
C’è il tentativo
di creare suggestioni visive, effetti luminosi e mettere semplici oggetti
scenici a servizio della performance. Il repertorio musicale (usato o anche
solo citato) è di qualità, foltissimo e vagamente nostalgico; i pezzi anni
Settanta, che a buon diritto Timpano sciorìna (sono i suoi anni, gli anni della sua prima infanzia) come parte integrante
dello studio, contribuiscono fortemente all’impronta generale e corredano il
suo stile personalissimo. Anche la drammaturgia testuale, che l’artista si è
certo cucito addosso, è inscritta in un’estetica del frammento d’irresistibile
brillantezza. Tanto che non ho resistito alla tentazione di appuntarne stralci
qua e là...
In occasione
dell’anteprima di AldoMorto – Tragedia, ieri
sera all’India c’era il tutto esaurito. Un pubblico attentissimo e affatto
rumoroso ha seguito instancabilmente per quasi due ore Timpano in uno
spettacolo di sorprendenti trasformazioni, variazioni e divagazioni sul tema Aldo Moro e anni di piombo.
Il dotato e
intelligente autore-attore ha scelto un argomento avvolto da un’aura quasi intoccabile
– che finora forse solo il caro estinto Gaber aveva avuto il coraggio di
violare – e lo fa un po’ col pretesto di trasformare
una tragedia greca in coriandoli di plastica: modo infallibile per
ravvivare le coscienze dei presenti stinti,
estinti. Forse banalmente vuole soltanto fare suo il precetto per cui bisogna camminare nei luoghi della storia,
ma senz’altro Timpano non è lì per raccontare la verità. Ah, la verità! Ah ah ah ah. La verità sciallallallallà.
Il Timpano faceto
(ma anche quello serio) destruttura le
verità, la retorica. Brigatisti è essere violenti con un logo (la stella a
cinque punte). Gli anni Settanta di Moro sono evocati da una distanza di
sicurezza, che permette di buttar via i barocchismi di un’Italia provinciale e
bigotta che in quei tempi così ribelli
erigeva le impalcature di sterili miti.
Il fondamento di
partenza è comunque irrinunciabile: che se ne parli, che si vivifichi un tema
soggetto a ipostatizzazioni e incasellamenti o a semplice oblìo; si porti
dunque in scena quello che nella tragedia greca è tralasciato, celato da un
pannello. Si smascheri, a teatro, quella realtà processuale ricostruita che
avrebbe visto Moro incarcerato in una villa con tutti i comfort, in accordo con un’autopsia (fittizia) che lo avrebbe visto
cadavere in buone condizioni fisiche...
Timpano ce li fa vedere quei tre metri per uno (...quando a teatro si può fare!), ci fa entrare nel “giaciglio”
in cui quattro stronzi di carcerieri hanno
costretto lo statista a trascorrere gli ultimi 54 giorni di “vita”.
L’irripetibilità
di questa, come ogni, serata di spettacolo dispone e legittima lo spettatore a
focalizzare nella sua memoria uno o più dettagli spazio-temporalmente contingenti,
limitati. Ecco, personalmente ritengo il clou
della performance lo smascheramento di cui sopra.
Tanto che il
protagonista necessita rompere l’amaro racconto con un pezzo quantomai
esilarante: è quello del portiamo-a-casa-la-serata-ma-sì,
in cui l’attore decide di “metterci una toppa” e fare finalmente un po’ di teatro... svelo solo che
Timpano intende riferirsi alla più becera e folkloristica delle accezioni di
teatro, che nell’opinione pubblica più inveterata parrebbe corrispondere al
teatro tout-court.
Anche la comparsa
di una piccola Renault 4 rossa
telecomandata è un escamotage
divertente, sempre per non star solo
in scena. Già, in questa tragedia contemporanea (o quasi) perché farsi mancare
il deus ex machina?
In questa
multiforme prova di sé, c’è anche spazio per il Timpano autobiografico (o no?),
quello che a tu per tu col pubblico condivide la paura di morire. La morte è stare soli. Viva il teatro
che sa esorcizzare la morte.
ALDOMORTO - TRAGEDIA
oggetti di scena Francesco Givone
audio e suono Marzio Venuti
Marzi
disegno luci Dario Aggioli
collaborazione
alla regia Elvira Frosini, Alessandra Di Lernia
drammaturgia,
regia, interpretazione Daniele Timpano
produzione Amnesia Vivace
con il sostegno di Area 06
in collaborazione
con Cité
Internationale des Arts, Comune di Parigi
9 settembre 2011, h. 20:15 - Teatro India
(Short Theatre), Roma
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