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lunedì 19 settembre 2011

PASSO? NO, VEDO


di Ludovica Marinucci

Parrucca nera e vestito verde, un manichino aspetta di essere guardato. Con attenzione, come si guarda una persona. Il lento affievolirsi delle luci sulla platea serve proprio a concentrarsi progressivamente, ad avere voglia di entrare nello spettacolo.
Ed è facile restare quasi ipnotizzati dai movimenti lenti e dagli sguardi ammiccanti della performer e coreografa di Passo, Ambra Senatore. Nel guardarla, ci si accorge di stare in una stanza senza musica, soltanto quando il silenzio viene interrotto da azzeccati intermezzi sonori. La musica sta nel ritmo fluido del corpo.
Questa danza solitaria si sdoppia da dietro le quinte, dove guizza fuori, a specchio, un braccio o una gamba di un altro manichino che, spezzato tra palco e quinta, in una divisione strutturale, viene portato in scena in parti. È una de-costruzione. Si crea un duo, sempre simultaneo, a parte qualche ritardo, qualche errore. È un continuo prendere e prendersi in giro. Sorrisetti maliziosi di facciata, che riescono a coinvolgere in modo insidioso e totale.
Con vari escamotage si aggiungono figure doppie, identiche e diverse allo stesso tempo: una perde la parrucca, esce per rimediare e viene sostituita da un’altra, provocando risate fragorose del pubblico al momento del riconoscimento del nuovo arrivo. L’ironia è il filo conduttore dello spettacolo, è la regola che presenta l’opera, mettendo in discussione se stessa nei continui errori e defaillances che si verificano persino tra il pubblico quando squilla un cellulare: lo spettatore viene salvato dalla riprovazione generale grazie alla ripetizione amplificata della suoneria, che diventa accompagnamento dei danzatori.
In un continuo gioco di sostituzioni, si cambia, ci si cambia e si va avanti, nonostante tutto. Luce e buio si alternano ad intermittenza, in un vedo-non vedo che confonde e spinge alla ricerca, ad acuire la vista. I performers corrono, si nascondono nelle quinte, rientrano dallo sfondo. Cosa cercano? Ognuno porta qualcosa: un estintore, un telo avvolto. Chi non ha nulla chiede al pubblico: «Qualcosa di rosso?». La capacità di creare un legame di complicità col pubblico è tale che si sente la voglia di ciascuno di partecipare, di dare qualcosa di rosso, un’agenda, una borsa, anche per un attimo il vestito, come nel mio caso.
Mentre una figura riporta gli oggetti ai loro donatori, viene steso il telo rosso a mò di red carpet. Tra gli altri incede deciso un uomo in bermuda e zainetto: è la performance parassitaria, che dal primo all’ultimo giorno della rassegna Short Theatre si infiltra in ogni spettacolo come un virus latente che si rivela benefico.
Confabulano, si copiano, si trovano stupidi. Pur di sentirsi come gli altri, una figura parla da sola. Guardano il pubblico per scegliere chi far unire a loro. Ognuno, del resto, si è già in parte immedesimato, ritrovando nei loro gesti ripetitivi, quotidiani, a tratti buffi e scoordinati, esperienze personali. È una prova continua, come se la vita stessa lo fosse, nel nostro dover rimettere a posto le cose, gli errori commessi non sapendo bene i passi ed in che direzione andare. Così, nel mettere in risalto le piccolezze quotidiane, si crea il parallelo dei retroscena di ogni lavoro teatrale ed in generale artistico. Guardando i danzatori che si divertono delle loro stesse parodie, si avrebbe voglia di restare in loro compagnia per ore. E del resto, quando con un’altra divisa la prima performer ricomincia la sua danza lenta e giocosa che potrebbe durare all’infinito, viene spontaneo chiedersi: Passo? No, vedo: continuo a giocare.
Il lavoro attento fatto sulla gestualità crea una dimensione evocativa forte, anche e soprattutto perché costruita in un rapporto privilegiato con lo spettatore, di cui stimola la curiosità e l’immaginazione. È spettacolo non solo d’intrattenimento, perché pieno di spunti di risate, tinte di un’ironia sottile sul senso delle cose che ci circondano e delle nostre azioni, in una loro continua, ed a volte incidentale, messa-in-questione.
Non stupisce che lo spettacolo abbia vinto il Premio Equilibrio 2009. Attraverso questo gioco ironico di de-costruzione delle nostre esperienze, si viene invitati a prenderne le distanze passo dopo passo, seguendo le indicazioni del proprio corpo e, quindi, restando sempre all’interno dell’esperienza stessa, in una feconda tensione tra dentro e fuori, tra individuo e comunità, tra improvvisazione e partitura, tra senso e non senso.

PASSO
progetto di Ambra Senatore
coreografia ed interpretazione di Ambra Senatore
interpreti  Caterina Basso, Claudia Catarzi, Matteo Ceccarelli, Elisa Ferrari, Tommaso Monza
luci Fausto Bonvini
musiche Brian Bellott e Andrea Gattico

14 settembre 2011 h 20.15 – Short Theatre, Teatro India, Roma.




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