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domenica 6 febbraio 2011

PESO E LEGGEREZZA: LE ACROBAZIE DEI MIGRANTI

Ai migranti. Un prolungato buio prepara la vista del pubblico; uno scrosciare d’acqua invoglia all’ascolto. Sei giovani danzatori compaiono a più riprese sulla scena: sono giocolieri della migrazione. Portano con sé pesanti bauli vuoti, da cui escono ed entrano con facilità, come fossero le porte delle case materne. È una danza lenta, faticosa: si sente tutto il peso dei loro 320 chili. Camminare a testa in giù, è un buon modo per vedere dall’altra prospettiva: quella di chi vive una vita in un incessante movimento.

Se qualcuno si ribella o si smarrisce, viene categoricamente ripreso, con un lazzo. Non si avanza, se non c’è un movimento collettivo. L’incontro di atomi liberi diventa facilmente uno scontro. Si ondeggia, si cade, ci si rialza, in questa danza di ricerca.

Ci si ferma soltanto per dormire, ma è una vera e propria acrobazia trovare il proprio posto. Su queste casse, che ricordano troppo spesso delle bare. Sono preoccupati questi circensi: se non riuscissero a fermarsi?

La migrazione diventa movimento in sé. I migranti, come acrobati della vita, se necessario, si buttano nel vuoto, da sempre più in alto. L’unica speranza è che qualcuno li riprenda al volo. Ecco, un invito alla fiducia.

Sono un esercizio collettivo anche le interessanti acrobazie della nomade della corda: un momento la attorciglia attorno al corpo come fosse un feto, il momento dopo sembra poter riuscire a volare via lontano. La musica si interrompe, per sentirne il respiro affaticato.

Proprio come nei momenti di buio assoluto risaltano meglio le poche luci intermittenti: sono lucciole, che narrano le loro storie con malinconica ironia.

L’ironia e la complicità sono il filo conduttore che tiene insieme questo collettivo, che così riesce a mostrare, con una grande coscienza sociale, gli atti quotidiani di quelle che restano anzitutto persone: la pericolosa lotta per il pane, il guardare la sorte del vicino, l’appropriazione furtiva delle cose altrui, in un crescendo che porta alla confusione generale, al gioco frenetico con cartoni, materassi, vestiti, in cui tutto si mischia con tutto.

Pian piano si costruisce una montagna di cose usate. È un monumento alla povertà e, al contempo, all’accumulo di esperienze. È un monumento dedicato Ai migranti.

Non stupisce che questo gruppo, ospite della rassegna, pur nella totale essenzialità coreografica, sia stato premiato nella scorsa edizione del Premio Equilibrio (2010) come miglior progetto. La giuria li ha incoraggiati a mantenere e sviluppare il loro approccio corale ed armonico, che partendo dalle diverse esperienze di formazione dei danzatori e usufruendo di pochi mezzi, ottiene un risultato evocativo e poetico su un argomento rilevante delle nostra epoca e, a nostro parere, di ogni epoca.

I danzatori, prima tre, poi cinque ed in questa ultima performance sei, riescono a tirare fuori dai loro bauli una grande capacità di comunicazione tramite immagini al contempo dure, ironiche e poetiche, con il supporto della recitazione e soprattutto del circo, ramingo per eccellenza, che diventa mezzo perfetto per stimolare l’immaginazione, i sogni e la capacità di mettersi nei panni degli altri.

Programma del Festival

Ludovica Marinucci

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