TDC E' UN portale CHE vuole dare voce ad un nuovo modo di fare critica. Una critica che non attacca, una critica che respira, che si riconosce in ciò che vede. Consapevolezza, introspezione ed umiltà sono le parole che descrivono tale lavoro di ricerca. Perché fare critica non sia più scrivere solo di teatro, ma divenga finalmente scrivere per il teatro

Benvenuti :)

mercoledì 3 agosto 2011

PENE D’AMOR PERPETUE




di Paola Monaco

La fama cui ardentemente aspirano i protagonisti di Pene d’amor perdute, tanto da voler stoicamente rinunciare ai più allettanti piaceri della vita per ben tre anni, non richiama affatto la gloria imperitura di antichi eroi, quanto piuttosto l’edificio bronzeo dagli innumerevoli accessi, descritto nelle Metamorfosi di Ovidio, dove la confusione ha stabilito il suo regno, ai confini dell’universo.
L’ardore che infiamma l’animo di questi giovani, ivi compreso il re di Navarra, suscita la nostra benevola ammirazione, in quanto ispirato ad ideali da considerarsi ormai in via d’estinzione. Esso, tuttavia, è talmente disgiunto dalla realtà da generare solo equivoci ed incomprensioni.
A cambiare le carte in tavola arriva un elemento superiore di tale potenza che, come direbbe un salmo biblico, di fronte ad esso, chi resiste? Trattandosi d’amore, potremmo pensare a un ardore sublime. Ma non è così. Meschini tradimenti al giuramento effettuato, sotterfugi di basso profilo, menzogne e debolezze degne di svenevoli donzelle, rintronanti cotte da inesperti adolescenti ruoteranno attorno a un unico fulcro: la principessa di Francia e le sue damigelle. Tra tintinnanti risatine e sagaci battute, le donne mostrano di avere il totale controllo della situazione e difficilmente cedono a banali lusinghe o a sfarzosi doni, che oggigiorno corromperebbero animi femminili a palate. I due schieramenti si cercano, si punzecchiano, si respingono e si studiano, in un classico gioco d’amore che si ripete da secoli, una sorta di quadriglia antica in cui cambiano solo le formazioni di danzatori. Delizioso il turbinío di lettere segrete, smarrite e scambiate, lette e stracciate, veicoli di ogni varietà di emozione che all’amore può essere associata.
La performance diverte perché gli attori, oltre a rappresentare efficacemente le scaramucce sentimentali tramite una recitazione impeccabile, non ci fanno mancare canti e balli, spaziando tra i generi più diversi. Senza parlare, poi, di quel colorito intercalare di espressioni tipicamente popolari, come «E stacce!» o «Ma vaff…!», parodia di un affettato linguaggio di corte, che trasporta il Seicento shakespeariano in un’attualità più familiare al pubblico e forse anche più sensata. Non passano inosservate sfiziose macchiette, come il poliziotto con accento marcatamente siculo, il ruffiano contadino sardo e un Don Armando con ispanica inflessione, che richiamano alla mente la commedia dell’arte italiana.
Il linguaggio è birichino come l’amore, nonché funzionale alla critica sociale. A chi sfugge la battuta sugli uomini anziani che vanno giù di testa per il sesso? A tal proposito, davvero spassosa è la figura della maestra Olofernia che, con fare dotto e saccente, bacchetta chiunque non mostri di avere una padronanza ineccepibile della lingua e rabbrividisce agli strafalcioni dei suoi interlocutori. Il suo gioco di rime sul cervo cazzotto/cazzetto è da morir dal ridere.
L’amore, in questa commedia, come forse anche nella vita, è un gran pasticcione: ignora età, condizione sociale e spergiuro di sorta. Tutto è cucinato nel suo grande calderone. Tutto è trasformato, idealizzato. Così, i censori dell’amore diventano devoti di S. Cupido, mettendolo sul piedistallo al posto della più arida fama.
Il lieto fine, tuttavia, è rimandato all’anno successivo, mantenendo un’aura di mistero sull’efficacia di tanto semplificare, che non ha mai convinto neanche l’autore stesso.

Pene d’amor perdute
Regia di Alvaro Piccardi
Traduzione e adattamento di Alvaro Piccardi

Globe Theatre, 31 luglio 2011, Roma

Nessun commento:

Posta un commento