
di Paola Monaco
Allez, allez, op, op, op! Gommosi mazzi di fiori colorati, palline rosse, fazzoletti dalle mille tonalità, bottiglie flessibili, coniglietti e coniglioni, oche, pesci di carta, ortaggi, pulci microscopiche, zebre di peluche: insomma gli oggetti più stravaganti, più bizzarri, più vivaci si animano al suono di questo comando e obbediscono giocosi alla volontà del loro padrone. Lui è un buffo personaggio, a metà strada tra Spennacchiotto e il pazzoide Archimede di disneyana memoria, che genera sorrisi a ogni apparizione. E’ la comicità fatta persona, con quell’espressione furbetta alla Benny Hills, l’acconciatura vaporosa, i vestiti sempre ostentatamente intonati alle sue portentose valigette. Il goffo prestigiatore ha l’aria di canzonare la sua stessa arte, utilizzando la gestualità esasperata di chi si dà un tono da grande mago. Ma Jean-Baptiste Thierrée è davvero un abile illusionista. Gli bastano pochi strumenti per rubare l’attenzione dell’intera platea, in fervida attesa del colpo di scena, che verrà spesso ironicamente disatteso, creando un gioco nel gioco.
Ogni azione porta con sé effetti spiazzanti, in un’atmosfera di miracolosa sospensione temporale. La curiosità di sapere cosa si nasconda dietro al trucco è come l’emozione di un bambino di fronte a un regalo da scartare. La performance, nella sua ripetitività, è sempre nuova e preceduta da un silenzio reverenziale che, a colpo fatto, esplode in una sonora risata. Gli oggetti, nelle sue mani, si animano di vita propria e si snaturano, come il trombone che suona come un fischietto o la pulce che fa un tonfo da elefante. Il mondo è capovolto. C’è una sola regola: magia. Magia di luci, di colori, di musiche che si succedono senza tregua, creando l’illusione di vivere in un sogno, nel ricordo di quella dimensione fantastica dell’infanzia che da bambini pensavamo durasse per sempre. Il mondo fatato e ricco di creature affascinanti della fanciullezza si concretizza, come per incanto, davanti ai nostri occhi. Siamo al circo, dove la leggerezza è semplicemente amore per la vita.
L’incanto trasformista trova il suo climax in Victoria Chaplin che, con camaleontica abilità, completa questo viaggio poetico. L’incedere danzante del suo corpo esile e flessibile, è metamorfosi pura: ombrelli giapponesi che si moltiplicano e ruotano all’infinito, pavoni, cavalli, pesci, struzzi, dragoni prendono vita da pochi stracci combinati ad hoc nel giro di qualche secondo e si manifestano in un tripudio di rotazioni, salti, trasformazioni repentine e fluide al contempo. Stupore e incanto lasciano lo spettatore attonito e rapito. Il corpo dell’artista perde la sua gravità e vive a suo agio anche sospeso nell’aria, a testa in giù, in uno spazio tutto proprio, funambolico e leggiadro.
Le Cirque invisible non è tanto quello che vediamo, ma quello che ricreiamo emozionalmente nel nostro spirito, per alleggerirlo e stupirlo, per trasfigurare la realtà che lo appesantisce. In questo caleidoscopico succedersi di deliziose, strabilianti fantasie siamo vorticosamente rapiti, come romantici Peter Pan. I saluti al pubblico, già nostalgico di magia, sono sorprendenti come i due artisti, ai quali, nel nostro cuore, indirizziamo un applauso invisibile.
Le Cirque invisible
di e con Victoria Chaplin e Jean-Baptiste Thierrée
Dal 16 al 19 giugno 2011
al Festival Internazionale di Villa Adriana
Fondazione Musica per Roma
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